VIAGGIATORI – una serie di racconti – PROCIDA L’ETERNO RITORNO – parte 4

 

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PROCIDA – L’ETERNO RITORNO   parte 4

Il tempo passa e ritorno, con lo stesso animo di un tempo, con gli stessi nascosti desideri di vincere l’età che mi trovo, di ritornare ancora una volta bambino e mi piace ritornarci da solo ad ascoltare e parlare con i fantasmi di coloro che ormai non vedo più come una volta, vinti dalla memoria e dagli anni.

“Un giorno verremo a trovarvi” “Un giorno andremo” aveva detto mio padre e loro ed a me. Ed avevo pensato con intima gioia all’attimo dell’abbraccio e del bacio non più dato solo per affetto, né per abitudine inveterata di famiglia. Mi recavo da solo in soffitta ad aspettare ed arrivava puntuale, ma il più delle volte si rimaneva a guardarci negli occhi, per un po’ soltanto guardarci neglio occhi e poi ridere, fortemente eccitati, come sbocco di una voglia tremenda. La stessa buona stoffa di un voyeur, che da sempre aborrivo, sorgeva in me allorquando mostrava la bella forma nei suoi abiti felicemente larghi e campagnoli, larghe gonne e non lunghe, nello scendere i pioli delle scale che portano alla stretta e protettiva soffitta. Cosa era successo al nonno, non l’avevo più visto e poi mi avevano detto che era morto e ricordavo quando mi aveva stretto a sé, mi aveva portato con lui, e questo mi aveva lasciato dentro la misteriosa arcana paura di un regno invisibile vicino e lontano, lontano e vicino ma senza ritorno, di un luogo tremendo dove regna il silenzio, dove non si può più comunicare tra noi, la qual cosa mi toglieva ogni speranza di immortalità, quella a cui avevo sempre creduto. “Gli altri, non io” mi dicevo e ne ero convinto ma non sapevo, non capivo, non mi rendevo conto che cosa fosse la vita, cosa fosse la morte. E quelli che ci lasciamo dietro e che ci precedono sono tappe comunque della nostra vita; senza speranza di evitare il turno, ci affrettiamo a dimenticare lottando con gli altri, fingendo a noi stessi la vita, recitando commedie mai scritte, innamorandoci. Dov’era mio nonno, il nonno? Quando io ero bambino non ho ricordi che mi diano pace, consolazione, solo quei buffi baffi folti e quel volto dello zio, dello zio Michele così buono, che ha pagato molto cara la sua vita affrontandola seriamente ed in tanta solitusine. “Và ‘ cinema co Michalino; Assuntì, Peppino va ‘o cinema co’ Micalino” dicevano le zie a mia madre che mai mi avrebbe lasciato allontanare da solo ed io, già un ragazzetto, a dieci anni, attraversavo le stradine dell’isola, rifiutando per ribellione la mano dello zio, per orgoglio, per dimostrare la mia autonomia, lo zio poco loquace e dal sorriso buono ed io altrettanto silenzioso e per niente ciancioso verso di lui che mi avrebbe , forse, preferito, almeno allora quando si è bambini, più aperto ed affettuoso. Ma io non ho saputo mai mentire, non potevo essere diverso da quel che ero, riflessivo e riservato, specialmente con le persone che ho amato, quelle più care. Forse ho finto con la gente che non ho stimato, che non ho mai stimato, con quelli che mi hanno amaramente deluso facendomi prima credere in loro e mostrandosi poi quelli che veramente erano. Odio per questo ancor oggi i subdoli amici, non mi va di essere preso per i fondelli da chi non è intelligente da mondo e semmai merita finanche l’immortalità fra gli stronzi. Con lo zio al cinema scambiavo così sì e no qualche parola. Vi incontravamo suoi amici ed allora li sentivo parlare, e li ascoltavo con grande attenzione, dei loro problemi, la raccolta dei limoni, la qualità dell’uva, la vendemmia, la quantità di vino prodotto, le botti, il cane, le galline…..

 

parte 4 – continua….

 

 

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VIAGGIATORI – I GIORNI 1972 – parte 9

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VIAGGIATORI – I GIORNI 1972 – parte 9

Suonava il sax nei locali della Penisola sorrentina. L’aveva lasciato. Ora era con me. Si lasciò andare.la luna non c’era. Tutto era buio. Le stelle non mandavano luce. I nostri occhi, sì. Fissai per un attimo i suoi. Mi baciò. Dopo il primo invito, fui io a baciarla.
Per arrivare a Chiaia di Luna dalla zona del porto si possono prendere due strade. Una costeggia la banchina ed è fiancheggiata da rimessaggi marittimi, da night clubs e da piccoli ristoranti. L’altra che vola al di sopra di questa è la strada del passeggio serale, piena di negozietti e di alberghi, di bar, trattorie alla buona e ristoranti eleganti. Ma prima di arrivare in località Sant’Antonio si deve percorrere una galleria. Ce ne sono molte in questa parte dell’isola. I Romani si accorsero delle difficoltà di transito; Ponza è fatta di continui saliscendi ed essi compresero che la strada più breve sarebbe stata quella delle gallerie. Il taglio romano si nota chiaramente e resti di “opus reticulatum” lo attestano con certezza.
Così, nell’incerto chiarore della luna cominciammo a scendere alcuni scalini. L’agave qui è predominante e giganteggia sulle strade. Anche per andare a Chiaia di Luna nella parte finale del percorso non c’è una strada ma un traforo, non percorribile dalle auto per la sua strettezza. E a piedi, di notte, percorso da gente ignara del posto diventa estremamente pericoloso. Così poteva esserlo per noi, se la fortuna e la prudenza non ci avessero aiutato.
Dovemmo tornare indietro. Non c’era una luce nel tunnel. I suoi muri erano umidi ed una corrente d’aria che veniva dall’altra imboccatura verso di noi, non ci permetteva neanche di accendere un fiammifero. Dovemmo rinunciare e tornare indietro.

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I soldi della zia, li andavo spendendo di negozio in negozio. Lei mi teneva compagnia. Una ragazza, il cui volto mutava di secondo in secondo. Mi mostrava i capelli, ora biondi, ora bruni, ora rossicci. Qua e là mostrava strappandoseli di andar perdendoli. Un negozio di alimentari. Entrare, uscire senza aver comprato niente come in tutti gli altri negozi. Ma i soldi li avevo già spesi. Da un attimo il volto di una donna conosciuta. Buio completo, senza nemmeno una luce, sotto un ponte ferroviario. Malfattori non armati, richiesta di denaro, reciso diniego dispiaciuto di non poterli accontentare. Forse un po’ di paura. Mostro il portafogli, credendolo vuoto. Tre delle quattromila lire volano e vengono raccattate. Dover fare a meno anche dei pantaloni ed arrivare sotto casa sua, nel suo portone, insieme a lei. Scambio di baci, prolungarsi silenzioso dello scambio. Per un attimo il volto di lei mi apparve molto chiaro. Suo padre. Credo che gli raccontai tutto; ma non ricordavo quasi più niente. La baciai di nuovo, ma non era più la figlia del padre che avevo visto. Altra donna senza un volto sicuro. I baci, tanti, non mi chiedevo nemmeno chi era a darmeli. Su una spiaggia stranissima, all’interno di una scogliera, due donne prendono il sole. Costumi da bagno stranissimi. “Queste stanno sempre qui” al mio amico che è d’accordo.
Una di esse si avvicina e mi invita ad andare con lei con segni d’amore impuro. Leggero senso di ripulsa, ma poi la seguo. L’altra con il mio amico, lo stesso. Ai bordi dell’acqua, su donne nude, in una zona deserta, senza sentirsi soli. Non riesco ad amare, non sono così, vado pensando. Poi ci provo e riesco. Ma mi alzo subito, vado via. Non sono così, non è così, non è così. Impazzirò. Potrei. Il mio amico, scomparso. Una donna, sì, la voglio, per me. Che sia grande, ma abbia doti di bambina. Che sia bambina, ma abbia doti di donna.
Ed intanto con la fantasia le vedo. Le voglio. Ne ho bisogno per non impazzire. Per non innamorarmi più di donne senza volto, i cui capelli non hanno un colore costante, per non fare all’amore con donne senza sentimenti, senza ideali; senza amore.

fine parte 9

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