VIAGGIATORI – una serie di racconti – GUGLIELMO IL CONQUISTATORE parte 1

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GUGLIELMO IL CONQUISTATORE – parte 1

“No, professore, io voglio dire tutto. Non mi basta parlare solo della guerra civile…. ho studiato tutto il libro”. Erano da venti minuti a parlare di Storia, di Cesare (tutto Cesare), di Cleopatra, di Marco Antonio ed Ottaviano, e Guglielmo non si fermava. Era l’ultima materia e gli altri commissari per l’idoneità alla terza superiore un po’ alla volta, solo con cenni riservatissimi, si allontanarono lasciando da solo a sbrigarsela il collega di Storia ed Italiano (su questa materia aveva già espresso con loquela eccellente le sue ottime conoscenze, oltre al fatto che con il compito da 10 la Commissione avrebbe anche potuto saltare il colloquio). Ma “Ho letto “Il sentiero dei nidi di ragno” e tutta un’antologia di racconti del mistero e del terrore. Professore, mi interroghi!” aveva preteso quel ragazzo cinese arrivato in Italia appena tre anni prima. E come fai a contrariare chi, all’Esame, vuole cimentarsi pienamente, avendo a che fare per lo più con allievi cui occorre cavare le parole dalla bocca come un dentista nell’atto dell’estrazione!
Anche Guglielmo, nome di battaglia ad uso scolastico italiano, come gran parte dei suoi connazionali veniva dallo Zhejiang. Aveva raggiunto, insieme alla madre, il padre che già da dieci anni lavorava a Prato, prima alle dipendenze di un cugino imprenditore tessile e poi da solo in un piccolo capannone a ridosso del Centro ma fuori da quella che chiamano “Chinatown”. Era figlio unico, sommamente curioso ed attento osservatore, concentrato negli studi della nuova lingua e della nuova cultura sin dal primo anno di scuola media inferiore, nel quale aveva bruciato le tappe saltando la seconda ed accedendo con un esamino in terza. In effetti già in prima il ragazzo, facendosi prestare i libri da un suo vicino di casa, più o meno suo coetaneo, aveva preso a studiarsi il programma di seconda e, forse, glielo avessero consentito, avrebbe potuto anche provare a fare l’Esame finale. Era il tormento dei docenti ma anche la loro delizia: c’era chi lo vedeva come “croce” e chi come grande opportunità di un esempio fulgido di dedizione agli studi: quel che i “ragazzacci” per dare una giustificazione alla loro infingardaggine normalmente chiamano secchione. Perché mai “croce” o “tormento”? in effetti troppe volte durante le lezioni interveniva dimostrando ai docenti ed agli allievi di conoscere già gran parte del Programma da venire ed a volte lo faceva in tono provocatorio, forse involontariamente, ma tant’è che qualche docente se ne ebbe a male, sentendosi messo in discussione.
La stessa storia capitò alle superiori; in prima il giovane cominciò sapendo già parte dei Programmi ( riuscì ad acquistare a tempo di record alcuni libri di testo e se li mangiò a colazione in men che non si dica ) per cui dedicò la seconda parte dell’anno scolastico alla preparazione per l’idoneità alla terza. E lì lo abbiamo lasciato, mentre prima ha tenuto in scacco l’intera Commissione ed alla fine si è accanito contro il povero e abbandonato da tutti docente di Italiano e Storia.
“Questo ragazzo ha del talento” disse il docente allo scrutinio e nessuno ebbe modo né ragione di contraddirlo “mi piacerebbe averlo con me in classe”. Il Preside lo accontentò.

GUGLIELMO IL CONQUISTATORE fine parte 1

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VIAGGIATORI – una serie di racconti – GIUSEPPE E MARIA (la sceneggiatura) parte 3

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Giuseppe e Maria parte 3 (inizia la sceneggiatura)

La sceneggiatura di “Giuseppe e Maria” è stata scritta nel 1988 – gli appunti riportano una modalità detta “all’italiana” con suddivisione fra lato sinistro (descrizioni ambienti, azioni ed indicazioni tecniche) e lato destro del foglio (sonoro e dialoghi). Utilizzerò invece una struttura che ha più caratteristiche vicine ad una sceneggiatura “all’americana” (un “trattamento” ampio). Per “trattamento” si intende una narrazione dei contenuti “complessivi” del videofilm.
Nel buio totale dei titoli di testa dapprima sferragliare di treno su rotaie – fischio di treno – sottofondo di una canzone degli “Adventures” gruppo degli anni Ottanta, “Broken Land” poi dissolvenza morbida su paesaggio industriale tra Firenze Rifredi, Sesto Fiorentino e Prato – lato sinistro del treno direzione Firenze – Prato. Nel mentre, terminati i titoli, zoom all’indietro interno di uno scompartimento con i due personaggi, Giuseppe e Maria, seduti l’una di fronte all’altro. Campo totale interno. Altro viaggiatore rileva il punto di vista obiettivo – Campo Totale di nuovo. Giuseppe e Maria sono seduti accanto al finestrino, dal quale si intravedono veloci passare capannoni vari e abitazioni basse.
Primo Piano in raccordo di lui che sorride e sonnecchia, sonnecchia sorridendo.
Soliloquio interno: “Di Prato conoscevo il Fabbricone e le ciminiere delle industrie e quella serie di abitazioni non troppo alte lungo il corso del fiume quando da Prato si decolla verso Bologna sulla linea ferroviaria; negli anni passati percorrevo questo tratto venendo dal Sud o ritornandovi”
Primo Piano in raccordo di lei che legge con attenzione prendendo appunti.
Soliloquio interno: “Non conoscevo Prato, non ho viaggiato molto su questa linea e poi non guardo quasi mai fuori dal finestrino, preferisco leggere. Avevamo deciso di viverci a due passi da Firenze. Venivamo dal Veneto, dalle fredde montagne bellunesi. Non sopporto il freddo, il mio naso diventa paonazzo; avevo bisogno di climi più miti”.
Nel mentre ai pensieri si inframmezzano altri paesaggi sempre dal lato sinistro del treno, stazioni, capannoni, campi incolti, case basse.
Primo piano di lui sempre con occhi chiusi.
Soliloquio interno: “Sì, Firenze mi era piaciuta, era stata la città dove io e Maria eravamo stati soli per la prima volta fuori delle nostre case.”
Primo piano di lei che legge e prende appunti. Poi solleva lo sguardo davanti a sé.
Soliloquio interno: “Ero nata sul mare; avevo proprio bisogno di avvicinarmi al mare, che da Feltre sembrava così lontano!”
Primo piano di lui che apre gli occhi e guarda il paesaggio; ci si avvicina a Prato.
Soliloquio interno: “Il freddo no, lo sopportavo bene. Era che mi sentivo in gabbia, culturalmente ero oppresso, anche se gli spazi fisici erano immensi. Non dimenticherò mai quelle montagne!”
Panoramica esterna sul paesaggio che scorre ora più lentamente.
Voce dello speaker “Si avvisano i signori viaggiatori che stiamo per arrivare a Prato!”
Il treno arriva alla stazione – la ripresa in totale è dall’esterno (tipo Lumiére 1894). Il treno si ferma. Scendono i viaggiatori. Scendono anche Giuseppe e Maria.
Voci, rumori tipici di una Stazione. Giuseppe e Maria si avviano per le scale.
Esterno giorno sull’ingresso dal Piazzale principale della Stazione. I due appaiono attenti ad osservare con uno sguardo comune che esprime un leggero stupore quello che è l’ambiente che in controcampo poi si vedrà.
Rumori e voci varie ambiente cittadino (veicoli, saluti, vociare di bimbi). Il giardino della Stazione in soggettiva, in profondità, dal basso verso l’alto e dall’alto verso il basso. Varie immagini.
Musica The Adventures – Broken Land – la stessa canzone dei titoli di testa

GIUSEPPE E MARIA fine parte 3

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VIAGGIATORI – I GIORNI 1972 – parte 10

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I GIORNI – parte 10

Quella notte non dovetti dormire molto bene. Attendevo l’alba e la nostra stanza non si rischiarava mai. Il rumore dei motori non cessava. Impaziente andai a guardare tra le fessure delle imposte: il buio, ancora. Mi riaddormentai ma dopo poco ero di nuovo sceglio.
L’interrotta visita al tunnel di Chiaia di Luna la sera prima ora mi metteva molta curiosità. Il nostro programma era prorpio questo: dirigerci a Chiaia di Luna, fare il bagno, prendere il sole ed affidarci per il resto alla sorte.
Il colpo d’occhio per chi esce dal tunnel è mozzafiato. Ma bisogna badare di più a dove mettere i piedi. C’è pericolo infatti di cascare in un fosso di circa tre metri, ricettacolo di rifiuti di ogni genere.
Non ci guardavamo nemmeno. Cosa potevamo dirci? Era come far resuscitare un morto. Io non parlavo, fissavo davanti a me il mare ed ero straordinariamente calmo. Come il mare dopo una tempesta, calmo solo alla superficie. Una tortura continua, la nostra presenza reciproca.
“Vi libero dalla pece” diceva un cartello. Un nuovo mestiere, un mestiere dei tempi nuovi. La civiltà, l’inquinamento ecologico ed umano connessi strettamente, cooperano alla creazione di nuovi mestieri.
Non tutto il male dunque viene per nuocere. Accertato.
L’uomo munito dei suoi particolari strumenti di lavoro si avviava dovunque lo si invocasse, bastava alzare la mano, con la sua aria da vincitore, da scopritore. Chiedeva in cambio (che fosse d’accordo con gli inquinatori?) una mancia a piacere.
La parte più vicina al mare era composta tutta, o quasi tutta, da ciottoli. Più in là i ciottoli diventano più rari e la sabbia era finissima. In fondo, invece, l’ultimo angolo di sabbia diventava pressoché mobile per la presenza di ammassi di alghe.
La costa, metteva paura. Alzando lo sguardo non la vedevi a picco, ma anche si di poco, piegata verso di te e ti trasmetteva un senso di angoscia perenne. Nella parte alta, resti di insediamenti forse preistorici.
Al centro della quasi conca marina, il faraglione, uno spuntone roccioso imponente. Da una parte una spiaggia privata su una scogliera allestita e camuffata con dei prefabbricati, dall’altra il bianco della bentonite. Sullo sfondo, la selvaggia isola di Palmarola.
Qualche barca solcava il mare, qualche yacht non molto ingombrante, qualche motoscafo fermo al largo, rispettoso delle regole. La gente man mano riempiva i fazzoletti di sabbia vuoti con le loro asciugamani. Ma la paura delle frane incombeva. Paura di morte. La gente sceglieva con cura soltanto luoghi che riteneva essere sicuri e riparati, ammucchiandosi, lasciando così vasti spazi completamente vuoti.
Riempimmo un sacchetto con sassi di vario colore, alcuni arrotondatisi al ritmo incessante della risacca, altri, fuori portata dalle lingue del mare, levigati dal vento. Raccogliemmo anche strane e variopinte conchiglie, alcune delle quali di dimensioni assolutamente insolite.
C’era uno chalet sulla riva. Lo immaginai bombardato da frane. Non vi entrammo.

fine parte 10

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