I GIORNI – parte 15
Come doveva essere, prima? Ci sedemmo a terra approfittando dell’ombra delle siepi di rovi. Fummo assaliti da mosche e formiche. Il pensiero, spinto dall’ambiente, volò all’uomo primitivo, privo di comodità e in preda a tutti i fenomeni naturali. Passò qualche auto, qualche furgoncino. Non si fermarono. La strada non doveva essere ormai molto lunga per le Forna, pensando. Invece… Passò un pullman. Facemmo segno. Non si fermò.
Sui rami dei rovi crescevano le more. Dietro i rovi, nascosti, antichi testimoni. Cisterne scoperchiate ripiene di acque stagnanti. Tuffarsi di rane concatenato. Migliaia di zanzare. Senso schifoso di ripulsa. Più su, dove la roccia è sulla strada, si può vedere di che materiale sia fatta.
Fummo al bivio. Vedemmo una macchina quasi nuova fiammante fuori strada lasciata in bilico. Scegliemmo la strada detta “Panoramica”. Non sapevamo nemmeno dove portasse.
“Se è panoramica” ragionando “deve essere bella” Andiamo.
La sommità era bruciata dal sole, piatta di rocce granitiche. Il cielo e l’orizzonte verso occidente offuscato dalle radiazioni del sole. La macchia molto limitata ed in parte carbonizzata da incendi recenti. Più giù, ora che si scendeva, c’era una villa. Abitata. In fondo, oltre il mare, l’isola di Palmarola. Sul declivio ora leggero, ora quasi a picco la vegetazione spontanea era più ricca e qua e là la mano dell’uomo si rivelava presente. Il mare increspato dai venti pomeridiani, solcato da poche barche a vela. Torrioni di roccia si elevavano. Più in là un campo fumante, rifiuti bruciati. Una carrucola abbandonata, forse aveva comunicato con la parte sottostante. Sulla costa, la roccia bianca.
Fu qui che sentimmo arrivare una macchina. Ci diedero il passaggio che avevamo richiesto. Un uomo ed una donna, coniugi. Molta voglia di parlare, simpatici. Non ricordo ora più nemmeno i loro lineamenti, anche perché li vidi per tutto il tragitto di spalle. Abitavano quella villetta sull’altura, l’unica.
Il panorama era davvero molto bello. Pensai di doverci ritornare, qualche altra volta. Salutammo ringraziando.
Le pannocchie, il loro odore, la selva di granturco, rincorrersi cadendo, cadere nel rinocorrersi. Sentirsi soli in mezzo al mondo, di una solitudine non angosciosa. Fermarsi a sentire il profumo di tutto quello che ci passa ogni giorno velocemente accanto. Amare ed essere riamato.
Ti ho guardato solo per un attimo, e già ero diverso. La retorica mi umilia. Era meglio conoscerti prima. Ci vediamo, mi saluti e tu sorridi. Se potessi capire! Tu risponderai che non c’è alcuna cosa da capire e mi annienterai. Preferisco tacere. Era meglio conoscerti prima.
Il viottolo è buio, stretto ebuio. Ci sono spine dappertutto, ai lati; in fondo, però, si trova un prato. Andrà bene per fare all’amore.
“non voglio” esitando.
Aspetti che ti trascini, forse con un po’ di dolcezza. Lo faccio con persuasione.
“Dai, che sarà bello!” e ti prendo sottobraccio.
C’è ancora una luce, nel buio, che ti fa tanta paura. Vorrei spegnerla, ma non si può ancora. Anche io l’ho dentro di me accesa.
Al ritorno, per la stessa stradicciola, piena di spine, tutto è buio. Anche la nostra luce, spenta. Non ci siamo detto niente. Continuiamo a tacere. Calpestio. Neppure i grilli. Solo il nostro calpestio. Onde leggere sulle spiagge. Una piccola lampara lontana.
Di ritorno, riposammo qualche ora. Ero nervoso, credo inspiegabilmente. La doccia mi rese più riflessivo. Lasciai il mio amico che dormiva. Andai a conoscere il nostro albergatore.
fine parte 15 – continua….