da giovane: “Come lei ben sa, Padre!” quinta parte

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da giovane: “Come lei ben sa, Padre!” quinta parte

Ogni attività “nuova” nel corso della mia vita è stata sempre caratterizzata da una “finzione”. Chiarisco meglio per evitare che vi siano dei fraintendimenti: e lo faccio con un esempio. Era – ma forse è ancora oggi – tradizione (pessima, a dire il vero) che i neofiti dei corsi universitari (le cosiddette “matricole”) fossero (siano) oggetto di “bullismo” da parte dei più anziani. Non mi faceva piacere certamente essere vittima di intimidazioni che più o meno miravano ad ottenere il pagamento di una colazione moltiplicata però per ciascuno dei pretendenti.
Ed infatti, consapevole che le “matricole” non portano sulla loro fronte o sulle terga un distintivo ma vengono riconosciute allo stesso modo con il quale si identificano quelli un po’ smarriti, un tantino persi, intimiditi dal luogo e spesso traditi dalla semplice richiesta di “informazioni logistiche”, andavo evitando queste occasioni e mi muovevo spedito come se fossi già nella piena padronanza dei luoghi.

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Con la stessa modalità cercai in mezzo a diverse difficoltà di non apparire incerto davanti ai “nonni” nella vita militare; l’esperienza culturale sociale mi venne in soccorso e creai un ottimo rapporto con un gruppo di “anziani” laureati come me che non condividevano il “nonnismo” e si contrapponevano ad un gruppo di rozzi ed incolti esseri umani che non intendevano rinunciare alle loro prerogative. A coloro che “sgarravano” (non c’era bisogno di fare grandi gesti per incappare in tale trappola) era riservata la punizione notturna che consisteva in un “gavettone” sulla branda. Una sera il gruppo di amici “anziani” mi avvertì: sarebbero arrivati di notte con una sacca colma d’acqua. Le stanze della camerata erano larghe e contigue suddivise in due corridoi comunicanti. Insieme ad altre matricole, che tuttavia avevano già subito angherie non simili a questa per me annunciata, preparai la branda sagomando una figura umana con delle coperte e varie lenzuola e mi disposi nella camerata opposta alla mia sedendo sul letto di un commilitone in permesso, trascorrendo il tempo a leggere e prendere appunti. Avevo preparato come arma accanto al letto, che era leggermente nascosto alla vista dell’ingresso da cui sarebbero entrati i “nonni”, una grande scopa. Gli altri erano stati avvertiti; mi ero anticipatamente scusato per il trambusto che si sarebbe in ogni caso verificato. Arrivarono poco dopo la mezzanotte, quatti quatti, e si avvicinarono alla branda. Li avevo visti ma loro non si erano accorti della mia presenza: ero molto più magro e leggero di quanto sia ora dopo cinquanta anni. Presi la scopa, la brandii come una racchetta da tennis ed urlando sferrai alcuni colpi alla cieca. I malnati abbandonarono la sacca a terra e scapparono con grande rapidità, sorpresi dalla mia reazione e consapevoli di essere stati traditi e di poter incorrere se avessi denunciato l’accaduto in qualche grave punizione.

Ma ritorniamo alla mia “pseudovocazione” di cui parlavo nelle due parti precedenti. Il primo incarico importante a tempo indeterminato lo ebbi a Feltre. E nella primavera del 1976 con una delle mie classi organizzai una visita d’istruzione a Firenze, dove mi raggiunse mia moglie. Mentre visitavamo la Basilica di Santa Croce accompagnati da una guida, entrati nella Sacrestia dove erano esposti molti paramenti sacri, nel descriverli il nostro anfitrione si rivolse a me: “Come ben sa lei, Padre!” suscitando sorrisini diffusi tra i miei studenti, tra i colleghi e mia moglie, che non ha mai smesso di scherzarci su negli anni a venire.

Intanto la mia vera vocazione aveva preso forma e contenuti ben più precisi. Il Teatro e il Cinema rimanevano la mia base culturale, ma la passione Politica, non quella imposta da altri, avanzava.

Joshua Madalon

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