UN PROGETTO PER IL CINEMA parte 5 (per la parte 4 vedi 24 luglio)

UN PROGETTO PER IL CINEMA parte 5 (per la parte 4 vedi 24 luglio)

Se si pensa che fra qualche anno Prato diverrà provincia ed oggi (ndt. Siamo nei primi giorni del 1984) si discute ancora (ma lo si fa davvero?!?) se aderre o meno ad una “proposta” di rivista culturale, l’argomento viene “snobbato”, se ne sminuisce la portata, non se ne vuole tener conto, si lascia che cada nel dimenticatoio o al massimo con argomentazioni scarsamente convincenti ed altrettanti colpevoli silenzi. E’ solo un aspetto di questo “scanario” che trovo di fronte, tremendamente “provinciale”. Se si pensa all’esistenza di un’ARCI in positiva crescita, finanziariamente florida ed in grado di autogestirsi, che però non riesce ad occupare “realmente” quel ruolo politico di protagonista nella trasformazione e nel rinnovamento della società, con il rischio, grave sotto l’aspetto politico, di essere protagonista nella conservazione, si ha anche la risposta ad alcuni dei quesiti drammatici ed allarmanti posti da qualche compagno nel corso di quei dibattiti pre congressuali di fronte ad un documento – quello dei “Temi” – che non offre, con la volontà dichiarata di costituire una “traccia che dovrà arricchirsi”, con la promessa di voler garantire a tutti coloro che interverranno nel corso del dibattito una positiva maggiore libertà, progetti, orientamenti, obiettivi concreti, mentre sarebbe importante per un gruppo dirigente che si rispetti il prospettare in maniera molto più ampia e precisa come la pensi e quali risposte dare alla crisi complessiva della nostra società, quale ruolo assumere per controbattere più efficacemente possibile l’inaridirsi dei rapporti sociali, senza abbandonarsi alla mera spesso arida gestione dell’esistente. Non può bastare la sintesi degli interventi, spesso molto pochi e poco articolati, per compilare poi un eventuale documento programmatico conclusivo del Congresso; ma occorre essere effettivi “dirigenti”, non solo accettando le critiche, e valutandole, soppesandole, valorizzandole, ma offrendo già in partenza un’analisi meno indulgente verso lo stato attuale delle cose, impietosa verso la nostra realtà, anche quando questa ci ha coinvolto e ci coinvolge direttamente. Occorre prospettare anche un miglioramento della gestione politica, la quale non può essere limitata ad interventi disorganici – anche se corretti formalmente – sulla pace, sui problemi sociali, sulla cultura, sull’economia solo per mantenere una semplice dignità di facciata: occorre agire invece nel profondo di questa società e , per far questo, è necessario molto spesso guardare al di là della pura e semplice produttività finanziaria, che finisce quasi sempre per “mettere il cappello” su tutto ed in questo modo diventare prevalente. Di questa esigenza io trovo coscienza nelle parole di alcuni dirigenti, ma non ho ancora la certezza che a quelle corrispondano dei fatti veri, non “chiacchiere” giusto per coprirsi, e corrispondano delle convinzioni acquisite, non fosse altro che sul piano teorico.
Chiudo questa parte “de doléance”, riflettendo su come questa ARCI di Prato mi appaia come quelle famiglie “borghesi” arricchitesi recentemente ( non è forse uno degli aspetti delle realtà del modello di società che noi osteggiamo? ) che, inserite nell’ingranaggio del benessere acquisito “tout de bout”, non sanno nè possono tanto meno tornare indietro senza rinunciare a quei benefici onestamente e con fatica e sacrificio acquisiti; e, nel frattempo, hanno perso i contatti con i vecchi buoni amici – quelli che non sono riusciti a salire nel gradino dei ceti sociali – e non riescono ad amministrare i loro affetti ed i loro stessi sentimenti, smarriscono il senso della misura, non curano il rapporto con i figliuoli, cui non rimane che seguire, oltre alle orme dei padri si intende – ma in maniera spesso più spocchiosa, intrigante e provocatoria a causa della base di partenza più favorevole – la strada dell’abulia e della negazione dell’essere, quella della “nausea” e della rinuncia. Forse siamo ancora in tempo per cambiare (o perlomeno per tentare di capire!).

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