IL RITORNO ALLA NORMALITA’
Mi
ripeto: una delle peggiori “epidemie” che colpisce le nostre popolazioni si
chiama “amnesia”. Ieri scrivevo che ci siamo inoltrati nel distanziamento
abbandonando nel “cestino” del nostro cervello tutto quello che fino a quel momento
ciascuno di noi aveva detto, scritto, fatto, pensato e praticato. Anche per
questo, sento di essere un maledetto imperterrito insistente rompiscatole,
continuo a praticare la memoria “critica” (quella di cui trattavo ieri che non
ha soluzioni univoche). Durante questo lungo senza dubbio inedito inverno molti
di noi si sono limitati negli spostamenti e lo hanno fatto quasi con piacere,
costruendosi dei ritmi domestici che non consentissero di avvertire la mancanza
di socialità. Molti, ma non tutti, anche perché una parte considerevole è stata
posta in difficoltà sia per le risorse economiche di cui non disponevano ( ma
qui il discorso diventa anche “politico” ed “antropologico” e vale la pena
soffermarci su questo tema in uno dei prossimi post ) sia per gli spazi angusti
in cui dovevano necessariamente muoversi.
Appartengo per fortuna al primo macro-gruppo: solo un lieve reflusso di
ipocondria mi ha interessato. Ma era anche il frutto di una riflessione
concreta. Da giovane sono stato ipocondriaco ma con l’età ho razionalizzato le
paure e le ho superate con l’impegno costante nella Politica e nelle attività
culturali. Pur tuttavia in quei giorni, nei primissimi giorni drammatici, ho
avvertito qualche lieve diisturbo psicosomatico ma in defintiva ero angosciato
da un problema concreto che mi tormentava: non poter essere tranquillo sul
fatto che, di fronte ad un malessere reale non riferibile ai problemi pandemici
(un ictus, una disfunzione cardiaca; insomma qualcosa di veramente serio), non
ci potesse essere da parte del Servizio Sanitario pubblico una risposta rapida
e perlomeno sufficiente.
In quel periodo non era neanche immaginabile di poter andare al Pronto Soccorso
così come mi è capitato di poter fare all’inizio dell’unica patologia seria che
mi è stata riconosciuta: in quell’occasione, ma sono passati quasi dieci anni,
ebbi modo di apprezzare la professionalità complessiva del personale sanitario
che, in un tempo ragionevolmente veloce, diagnosticò la mia ipertensione.
Ritornando al “prima”, ma rimanendo sul “tema”, vorrei ricordare che negli
ultimi anni si è andato progressivamente riducendo il ruolo della Sanità
pubblica a Prato ed in Toscana. Sono stati chiusi molti Distretti periferici e
sono stati ridotti i posti letto nel nuovo Ospedale. Già prima che scoppiasse
la pandemia c’era chi lamentava l’aumento esponenziale degli accessi al Pronto
Soccorso ed in quelle occasioni si segnalava da parte delle Sinistre la
sottovalutazione del ruolo della Sanità pubblica a favore di quella privata. Su
questi temi occorre ritornare a denunciare e proporre.
Durante il periodo pandemico più duro per diversi motivi la Sanità pubblica è
stata dominante ma l’attenzione maggiore era per i contagiati ed i malati
Covid19. La Sanità privata ha provato ad inserirsi nel contesto ma lo ha fatto
in modo maldestro, svelando la sopravvalutazione dei “propri” interessi: si
dirà che ciò sia inevitabile in una società dove prevale la logica del
“mercato”, ma bisognerebbe anche saperne limitare gli ambiti in momenti di
emergenza.
Con il ritorno alla normalità risaltano nuovamente ed in modo più eclatante i
difetti del tempo di “prima”. Come la questione dell’accesso al Pronto
Soccorso, che in questi giorni è intasato da richieste a volte improprie e
banali e mette in evidenza la “complessità” del fenomeno, dovuto essenzialmente
alla mancanza ormai “cronica” di presidi di medicina territoriale e difficoltà
che genera sfiducia nel rapporto con i medici di base. Questi ultimi finiscono
per essere considerati come consiglieri trascrittori di ricette o poco più,
anche per le restrizioni imposte dalla dirigenza regionale che li limita nel
loro specifico lavoro.
Anche in Toscana, meno però che in altre Regioni più “operose” dal punto di
vista manageriale (ivi compresi gli ambiti sanitari), il Covid19 ha posto in
evidenza i limiti dell’azione politica, in questo caso, del Centrosinistra, che
– fatte le debite distinzioni poco meno che “ideologiche” – non ha operato per
valorizzare le funzioni pubbliche ma ha avvantaggiato – anche nascondendosi
dietro le lungaggini delle pratiche burocratiche – di fatto il “privato”, anche
se convenzionato.
Joshua Madalon