VIAGGIATORI – una serie di racconti I GIORNI 1972 quarta parte

donne_in_nero

mare aperto

Era una donna di mezza età, bruciata dal sole nel viso, di Ventoteneforse o di Ponza. Vestiva di nero, in modo poco elegante per una città ma vicino a quelle nostre vedove di marinai che, nel Sud, nei paesini di mare e nelle isole, usano ancora lavorare di conocchia e di fuso su quei due tre scalini davanti alle loro abitazioni rivestite di bianca calce che dà loro quella sensazione di pulito, di nitido. La trovammo seduta a quel posto che avevo riservato con un tantino di spiritosagine al mio amico “un po’ stanco”.
Guardai la signora vestita di rosso che le sedeva accanto. Doveva avere manie aristocratiche. Mi rispose con uno sguardo di sopportazione e di rassegnazione.
La bella costa di Gaeta ci passò accanto e noi la guardammo come in un film. Ogni secondo una propsettiva diversa, un’angolazione nuova e le immagini passavano così, frettolosamente. Il vento scompigliava i miei lunghi capelli.
Vidi arrivare una ragazza bruna di età giovane ed incerta, bella, occhiali d’oro scuri e grossi, un corpo leggero ed aggraziato.
“Shambeck, Shambeck, Schambek….” mormorando tra il silenzioso ed il sonoro.
Con lei c’era il padre. Si avvicinarono a noi che stavamo a farci accarezzare dal vento ed avedere il film di cui prima…e notai che almeno lei aveva lo stesso mio problema: i capelli lunghi e scompigliati. Suo padre li aveva corti.
“Il vento….i capelli, devo tagliarli” e nient’altro mi bastò dire, in maniera affrettata a bella posta, per attaccare.
Con Arleppa Schambeck, Opromollo e Mister Foffano, divertita ma incerta…
All’improvviso il mio amico ieratico guardando il cielo e alzando a metà le braccia: “Trasumanar significar per verba….”.
“…non si poria”.
Una voce alle nostre spalle imprecisata ed inumana.
Al bar, dove poi ero andato, era seduta al banco la figlia della signora in rosso. Non parlammo. La madre aveva detto che andavano a Ventotene. Noi a Ponza. Sarebbe stata una fatica sprecata, un mero tirocinio attaccare….ma del resto non ne avevo tanta voglia. Il cameriere mi servì un’aranciata amara.
“Davvero fai? Insomma, se io ti facessi capire, poniamo per scherzo, che ci sto, tu ci staresti?”
“Beh, che c’è di male? Io, sì”.
La tenevo per mano. Lei si faceva teneramente tenere per mano. Eppure bisogna vincere il timore di chissà cosa per tenere per mano una ragazza. In una mia ricognizione avevo scoperto come andare a prua.
“Vieni. Andiamo”.
E lei per mano, dietro. Il mio amico sa quando deve andare e quando no. E dietro. Con tutti quei personaggi inventati ed i loro aneddoti bislacchi avevamo confuso il suo cervellino. Milanese, parlammo delle nostre città dei nostri concittadini. Andava a Ventotene.
Il padre dopo un po’ andò cercandola dappertutto. Lei ci raccontò poi ridendo che aveva addirittura pensato a rapimenti o ad involontari tuffi nel mare. Che si era recato anche dal capitano della nave. Che padre! Che gelosia!
“Così impari!” e giù schiaffi. “Impari a dire bugie”. Non si tocca una donna nemmeno con un fiore. Una donna, sì. Ma un diavolo, no.
Qualche anno prima dormivano insieme, talvolta soli. La fine.
La nostra giovane amica venne davvero rapita, ma dal padre! Non ci salutò neppure quando sbarcò, a Ventotene.

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