UNA BUONA OCCASIONE utilizziamo questo tempo di “emergenza” per ristrutturare le nostre vite

UNA BUONA OCCASIONE utilizziamo questo tempo di “emergenza” per ristrutturare le nostre vite

“Andrà tutto bene!” “Verrà fuori la nostra parte migliore!” “No, verranno fuori gli aspetti peggiori” “Tutto non sarà come prima!” sono solo alcuni dei “propositi” degli “auspici” che in modo apotropaico esorcizzante sentiamo scorrere da alcune settimane sulle bacheche dei social e sulle onde elettromagnetiche televisive.

Come andrà, in generale, non lo possiamo sapere. Ci auguriamo o temiamo gli esiti siano essi positivi o negativi. Non molto di più. Resta però un fatto incontrovertibile: tutto dipende in gran parte da chi governa ed amministra il nostro Paese ed in quota parte anche da chi è cittadino di questo Paese. Ad essere sincero, mi preoccupano molto di più i nostri concittadini dabbene piuttosto che i governanti e gli amministratori. Perché – in realtà – se tutti noi non si riesce a portare un contributo per un approdo equo e solidale, sia solidale sia equo, sulla riva della salvezza comune, verremo condotti verso soluzioni che privilegiano proprio la parte meno bisognosa a svantaggio di tutti coloro che fino ad ora sono sfuggiti – in toto o in parte – al rispetto delle regole della convivenza civile.
Ho in questi ultimi giorni apprezzato il buon cuore di tante persone che sollecitano, rispondendo ad una proposta estemporanea dell’onorevole Del Rio, a mettere in piedi una sorta di “patrimoniale” che riguardi una parte dei contribuenti, di certo i più abbienti, ma segnatamente sempre quegli stessi che onestamente non si sono mai sottratti – volontariamente o in qualche modo costretti – al pagamento delle imposte. L’idea è ovviamente “debole” perché non si impegna minimamente, si dice “per rispondere all’emergenza con sollecitudine”, a creare le condizioni affinché chi più ha “realmente” sia costretto – o sospinto delicatamente (fate voi!) – a contribuire per la sua quota alle difficoltà di larga parte del popolo e del Paese nel suo complesso.
In una situazione emergenziale, durante la quale sono stati utilizzati metodi “polizieschi” necessitati, non sarebbe inutile una prosecuzione pur temporanea di questo “stato” all’interno di meccanismi comunque ampiamente democratici, allo scopo di superare quella fase di tolleranza verso quella diffusa illegalità nei settori lavorativi e delle normative fiscali.
Contemporaneamente a questa visione riformatrice vi sarebbe una più equa ripartizione della ricchezza senza alcun rischio di essere riconosciuti come neo-comunisti, perché potrebbe soltanto accadere che i ricchi non lo siano sempre più in modo esponenziale, i meno ricchi non rischino di avviarsi verso la soglia della povertà, e gli attuali poveri di poter dignitosamente mantenere un livello minimo di vita, contribuendo ad un lavoro che non li umili ma consenta loro anche un minimo di speranza progettuale.
Il rischio che corriamo in questa fase ed in relazione a quel che ho appena scritto è che si scelga, come sempre – ancora una volta, la strada più semplice da praticare, rinunciando colpevolmente (se, a questo punto, chi avanza proposte riformatrici, non fosse ascoltato) a utilizzare questa occasione in modo positivo.