“PACE E DIRITTI UMANI” un intervento di Giuseppe Panella in suo ricordo – ottava parte (vedi post 29 marzo 2020)

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“PACE E DIRITTI UMANI” un intervento di Giuseppe Panella in suo ricordo – ottava parte (vedi post 29 marzo 2020)

Allora nel contesto della formazione e della costruzione del contratto sociale e della costruzione delle società umane, l’unica cosa che si può richiedere ai componenti della società è la cessione di una parte della loro libertà a favore di quella di tutti, questa parte di libertà di cui viene richiesta la cessione è in realtà quella relativa all’arbitrio individuale cioè appunto, come Beccaria poi più volte ripete, a fare il male, etc…
Di conseguenza se gli uomini si riuniscono in società sulla base di un principio di unione che è necessario per assicurarne la sopravvivenza è del tutto improponibile o comunque impensabile che invece che la minima porzione si ceda la massima ovverosia la vita, e che in questo contesto sia permesso a qualcuno di decidere sulla base di un principio esteriore, esterno rispetto alla convenzione del patto sociale chi debba vivere o chi non debba vivere, non solo, se la pena di morte non è un diritto della società, cioè qualcosa che la società ha il diritto di comminare a coloro i quali si sono posti contro di essa, è in realtà una espressione di una condizione di guerra da parte della società nei confronti di coloro i quali vengono considerati contrari o avversi alle sue necessità.
Di conseguenza la possibilità di dare la morte a qualcuno per Beccaria è possibile soltanto in quelle situazioni (questo è fedelmente ripreso nel proemio dell’editto di Pietro Leopoldo), cioè solo in quelle situazioni di rivoluzione o di anarchia ed incompatibili con uno stato saldamente fondato. Pietro Leopoldo dice, nelle turbolenze dell’anarchia e dei bassi tempi e specialmente non adatta al dolce e mansueto carattere della nazione. Beccaria dice, la morte di un cittadino può avvenire soltanto quando la nazione recupera o perde vla sua libertà nel tempo dell’anarchia. Pietro Leopoldo fa scrivere per mano del suo ministro Gianni che la pena di morte è qualcosa che deriva da massime stabilite nei tempi meno felici dell’Impero Romano, come nell’incipit folgorante di “Dei delitti e delle pene” e che alcuni avanzi di leggi di un antico popolo conquistatore fatte compilare da un principe che dodici secoli fa regnava in Costantinopoli, cioè l’allusione è all’impero bizantino e soprattutto a Giustiniano autore di quel celebre e formidabile meccanismo di leggi che è il “Corpus Iuris Iustinianei”, “frammischiate poscia tra i riti longobardi ed involte in farraginosi volumi di privati oscuri interpreti”, formano quella tradizione di opinioni che da una gran parte dell’Europa ha tuttavia il nome di legge ed è cosa funesta quanto comune al dì di oggi, che un’opinione di Carvozio, cioè un oscuro giurista del ‘600, un uso antico accennato da Claro un tormento con iraconda compiacenza suggerito da Farinaccio, siano le leggi a cui con sicurezza obbediscono coloro che tremando dovrebbero leggere le vite e le fortune degli uomini. Voglio dire che come vedete da questa breve comparazione, proprio Pietro Leopoldo sembra aver accettato in pieno l’indicazione critica, fortemente critica di Beccaria nei confronti di una legislazione radicata da un punto di vista dell’uso della consuetudine, ma che Beccaria ritiene assolutamente inadeguata e soprattutto non conseguente al libero esercizio della ragione degli uomini.

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