“PACE E DIRITTI UMANI” un intervento di Giuseppe Panella in suo ricordo – undicesima parte (vedi post 14 aprile 2020)

Pace e diritti umani

“PACE E DIRITTI UMANI” un intervento di Giuseppe Panella in suo ricordo – undicesima parte (vedi post 14 aprile 2020)

25 APRILE PACE E DIRITTI UMANI – undicesima parte

Vi leggo, ora, la parte in cui Beccaria esamina questo punto:
La pena di morte fa un’impressione che colla sua forza non supplisce alla pronta dimenticanza naturale all’uomo anche nelle cose più essenziali, ed accelerata dalle passioni. Regola generale: le passioni violenti sorprendono gli uomini, ma non per lungo tempo, e però sono atte a fare quelle rivoluzioni che di uomini comuni ne fanno o dei Persiani, o dei Lacedemoni; ma in un libero e tranquillo governo le impressioni debbono essere più frequenti che forti.
La pena di morte diviene uno spettacolo per la maggior parte, e un oggetto di compassione mista di sdegno per alcuni; ambedue questi sentimenti occupano più l’animo degli spettatori, che non il salutare terrore che la legge pretende inspirare. Ma nelle pene moderate e continue, il sentimento dominante è l’ultimo, perché è il solo. Il limite che fissare dovrebbe il legislatore al rigore delle pene, sembra consistere nel sentimento di compassione, quando comincia a prevalere su di ogni altro nell’animo degli spettatori d’un supplizio più fatto per essi, che per il reo.
Quando appunto una pena erogata desta compassione negli animi di coloro i quali assistono al supplizio vuol dire che la pena non è adeguata, perché il reo, il colpevole viene compassionato, viene considerato una vittima invece che il vero colpevole, quindi viene a cadere quel principio dell’adeguata commisurazione della pena nei confronti della colpa. Allora perché una pena sia giusta non deve avere che quei soli gradi di intenzione che bastano a rimuovere gli uomini dai delitti”,
cioè deve essere appunto tale da poter spaventare e distogliere ma appunto l’unico grado di intensità deve essere questo, ora non vi è alcuno che riflettendovi (questo è il nocciolo dell’argomentazione di Beccaria), scelga la totale e perpetua perdita della libertà, èer quanto vantaggioso possa essere un delitto.
“Dunque l’intenzione della pena di schiavitù perpetua cioè l’ergastolo, sostituita alla pena di morte, è ciò che basta per rimuovere qualunque animo determinato. Aggiungo di più, che moltissimi riguardano, fronteggiano la morte con viso tranquillo e fermo, chi per fanatismo chi per vanità che quasi sempre accompagna l’uomo al di là della tomba, chi per un ultimo e disperato tentativo o di non vivere o di sortir di miseria, ma nel fanatismo nella vanità stanno fra i ceppi o le catene, sotto il bastone, sotto il giogo, in una gabbia di ferro, ed il disperato non finisce i suoi mali, ma li comincia.”

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Ora vi citerò un film, cioè “Angeli con la faccia sporca” di Michael Curtiz in cui uno dei personaggi è interpretato dal famoso attore James Cagney, che ha la parte di un gangster irlandese condannato a morte. Come compagno di giochi ma anche come compagno di piccola delinquenza da ragazzo aveva avuto un altro irlandese che era diventato prete cioè i loro due destini si erano divaricati, uno era diventato un gangster e l’altro era diventato prete; nel momento in cui il gangster viene sorpreso dalla polizia e poi condannato a morire, l’amico prete, il suo vecchio amico di infanzia gli chiede di non morire da eroe, di morire da vigliacco, perché se fosse morto da eroe sarebbe servito come esempio agli altri ragazzi giovani del quartiere che vedendolo morire eroicamente e spavaldamente, guardando in faccia la morte, avrebbero pensato che in fondo fare il gangster era una cosa positiva….

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