26 settembre – reloaded COVID 19 – parte 4. Memoria corta e persistente amnesia COVID 19 – parte 5 – un po’ di luce sulle questioni della SCUOLA


COVID 19 – parte 4. Memoria corta e persistente amnesia COVID 19 – parte 5 – un po’ di luce sulle questioni della SCUOLA

Circa un’ora fa sono transitato davanti ad una sede di Scuole elementari della città dove vivo. Per la cronaca, ora sono circa le 17.15 del 7 gennaio 2021. C’era un assembramento “motivato” dall’uscita dei bambini che frequentano il “tempo pieno”. Avevo annunciato che avrei parlato di “Scuola” e lo farò ancora una volta, senza peli sulla lingua e disponibile a farmi considerare un impenitente cocciuto.

Il titolino che ho postato serve anche a me stesso come promemoria, perché ritengo che sia una patologia comune di noi tutti una “memoria corta” ed un’ ”amnesia persistente”. Un brutto difetto che ci fa dimenticare rapidamente anche momenti bui della nostra Storia che vengono superati allegramente: ne è prova drammatica il sorprendersi nella ripresa di temi come quelli della “stagione delle stragi” o di “Mani pulite”. Ma, vivaddio, sono momenti lontani, perlomeno lo sono per un paio di generazioni: avverto i “critici costanti” di non considerarmi un fautore dei “colpi di spugna”. Anzi! Dico che sono “momenti lontani” semplicemente perché qualche lieve amnesia ci può anche stare! E, qui, se avessi un emoticon, inserirei una strizzatina d’occhi per evidenziare una sorta di complicità.

Ma è ben diversa la realtà di cui andiamo trattando: qui si tratta di tempi molto vicini anche fisicamente a noi. Le scuole, gli edifici scolastici fatti di ambienti strutturali (atri, aule, corridoi, luoghi comuni: bagni, spogliatoi delle palestre, uffici in genere) erano in gran parte inadeguati ad affrontare una situazione sanitaria problematica. E lo sono ancora, a prescindere  dalla straordinaria buona volontà di tutto il personale scolastico. La si smetta di mandare in onda riprese televisive “solo” di scuole con spazi ampi.                                        Ricordiamolo: nel corso dei tempi a noi molto vicini ma prima dell’inizio del 2020 non erano infrequenti servizi giornalistici televisivi intorno allo sfascio dell’edilizia scolastica in varie parti del nostro Paese. Anche nella città dove vivo che ha tuttavia una situazione che potrebbe apparire oggettivamente rosea ci sono molte scuole che sono state insediate in ambienti non del tutto adatti, e dove in ogni caso le presenze erano più numerose al di là degli spazi disponibili. Fino all’avvio dell’anno scolastico 2019/20 si è lottato per avere maggiori spazi ed in gran parte sono stati reperiti; ma non sono ugualmente adatti a garantire la sicurezza necessaria a fronteggiare la pandemìa. Ci si consola esclusivamente basandosi su sondaggi che attesterebbero la scarsa probabilità di contagi nelle fasce dei giovanissimi. A dirla meglio, “tra i giovanissimi”! perchè non è mica chiaro del tutto se siano asintomatici ma contagiosi. Ma questa, da parte di un totale insesperto di “medicina”, è solo un’indebita “illazione”.

D’altra parte, comprendo pienamente tutte le preoccupazioni genitoriali; sarebbe stato molto bello per tutti che questa “disgrazia” collettiva non ci capitasse. Purtroppo dobbiamo “tutti” – chi più chi meno, chi in una modalità chi in un’altra – farci i conti. Ma di certo non si può scaricare tante delle responsabilità “politiche ed amministrative” su chi opera e rischia di persona in quegli ambienti.  C’è – tornando al tema dell’ “amnesia” – da sperare che chi abbia sbagliato fino a “ieri” (2019) sia in grado di riconoscerlo e si attrezzi a rendere quegli ambienti maggiormente adatti allo sviluppo cognitivo sociale e culturale delle giovani generazioni. La si smetta di piangere come “coccodrilli” pentiti solo ipocritamente e ci si attivi con progetti che recuperino “spazi” ampi per la fruizione delle culture e delle conoscenze.

Allo stesso tempo, non riesco a condividere la posizione di chi si ostina a porsi unilateralmente a sostegno di una richiesta di “ritorno alla normalità”, come se nulla di serio e grave fosse accaduto – e continua ad essere incombente – nel nostro Mondo. Mi riferisco a quei “gruppuscoli” di studenti, che ad ogni modo non mi sembrano per nulla  “dilettanti del web” ma piuttosto aristocratici ideologici (laddove le motivazioni si contrappongono alle, pur timide ed insufficienti, scelte governative). Per fortuna, oggi (8 gennaio ore 14.30 circa) su Rai Tre è riuscita ad essere intervistata pur fugacemente, e quasi emarginata come una vana appendice, una docente che ha espresso un’opinione che non è per nulla marginale, essendo stata rappresentata da una maggioranza percentualmente qualificatissima di docenti in una ricerca proposta da INAPP, che non è un Ente privato sostenuto da figure poco qualificate ma un  “Ente pubblico di ricerca” vigilato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali;  è la trasformazione dell’ISFOL, l’Istituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale dei Lavoratori, nato nel 1973 con il compito di offrire un sostegno tecnico e metodologico al Governo e alle Regioni nel campo della formazione professionale”(il virgolettato è riferito a quel che dichiara sul sito ufficiale dell’Ente il presidente prof. Stefano Sacchi).

Secondo la ricerca collegata al policy brief “La scuola in transizione: la prospettiva del corpo docente in tempo di Covid-19” promosso dall’Ente “PER IL 70% DEI DOCENTI INTERVISTATI LA SCUOLA VA TENUTA CHIUSA FINO A TERMINE EMERGENZA SANITARIA”.

Ovviamente, quello che è il “mio” allarme appartiene ad un singolo docente in pensione, che ha sviluppato una modesta attenzione verso le problematiche politiche nel corso della sua esistenza. Parlo per me, dunque, ma non posso non condividere molte delle posizioni espresse dalla maggioranza dei docenti intervistati.

Per poter essere maggiormente incisivo vi riporto il Comunicato Stampa dell’Ente a proposito di questo sondaggio. Il documento è firmato dal Portavoce del Presidente INAPP. Tralascio nome e cognome – numero telefonico e recapito mail che potete tuttavia trovare digitando  

https://www.inapp.org/it/inapp-comunica/sala-stampa/comunicati-stampa/5012021-scuola-inapp-%E2%80%9C-il-70-dei-docenti-intervistati-va-tenuta-chiusa-fino-temine-emergenza-sanitaria%E2%80%9D

COMUNICATO STAMPA

I risultati del policy brief “La scuola in transizione: la prospettiva del corpo docente in tempo di Covid-19”

SCUOLA, INAPP: “PER IL 70% DEI DOCENTI INTERVISTATI VA TENUTA CHIUSA FINO A TERMINE EMERGENZA SANITARIA”

Promossa la didattica a distanza anche se è necessario uno standard unico e serve più formazione per il nostro corpo docente che resta quello con la maggior presenza di over 50 fra i paesi OCSE

FADDA: “LA DAD E’ SERVITA A SALVARE L’ISTRUZIONE PERCHE’ TUTTI, DOCENTI E STUDENTI, HANNO REMATO NELLA STESSA DIREZIONE, MA SONO EMERSE ANCHE TANTE CRITICITA’: DALLA CARENZA DEGLI ORGANICI ALLE DEBOLI COMPETENZE DEGLI INSEGNANTI”

Roma, 6 gennaio 2021 – Le scuole e le Università si devono tenere chiuse fino a emergenza sanitaria rientrata per il 70,4% dei docenti ciò che è necessario è avere uno standard unico per la Didattica a distanza (lo sostengono l’82,4% degli insegnanti) con relativa formazione specifica ai docenti per oltre il 90%. Sono questi alcuni dati che emergono dal Policy brief dell’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche “La scuola in transizione la prospettiva del corpo docente in tempo di Covid-19”. L’indagine, a cui hanno partecipato oltre 800 docenti, ha riguardato gli insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado (asili nido, scuole dell’infanzia, scuola primaria, scuola secondaria di I e II grado) e Università e corsi AFAM, pubbliche, private e paritarie, in servizio al momento della chiusura delle Scuole e delle Università, e si inserisce all’interno dello studio più ampio “Il lavoro di uomini e donne in tempo di Covid: una prospettiva di genere” curato dall’INAPP.

“Dalla nostra indagine emerge che il corpo docente promuove la didattica a distanza come una giusta soluzione per fronteggiare il problema della pandemia – ha spiegato il presidente dell’INAPP, prof. Sebastiano Fadda – al punto che 2 insegnati su 3 pensano che sia giusto tenere chiuse le scuole fino a quando l’emergenza sanitaria sarà rientrata. In pratica il sistema dell’istruzione, trovandosi nella burrasca del mare aperto dell’emergenza sanitaria, ha utilizzato la “scialuppa” della didattica a distanza per rientrare in un porto sicuro con tutto il proprio carico di lavoratori e studenti. Aver remato nella stessa direzione, docenti e studenti, è servito a salvare il ciclo di studi ma è chiaro che sono emersi allo stesso tempo molteplici problemi come gli organici insufficienti, l’inadeguata dotazione strumentale, la scarsa padronanza dell’utilizzo dell’ICT da parte del nostro corpo docente, un corpo docente con la maggior presenza di over 50 fra i paesi OCSE (il 59% degli insegnanti dalla scuola primaria alla secondaria di II grado ha più di 50 anni )e con la percentuale più bassa di insegnanti con età compresa fra i 25 e i 34 anni (0,5%). Nonostante questo, il corpo docente ha espresso la volontà di continuare ad utilizzare le tecnologie ICT anche quando, si spera presto, la pandemia sarà sconfitta”.

Dall’indagine INAPP emerge in particolare come sul versante tecnologico i docenti hanno confermato “le difficoltà di connessione causate da una rete Internet inadeguata anche in conseguenza della condivisione della banda con conviventi che contemporaneamente hanno avuto l’esigenza di lavorare da remoto o seguire le lezioni online. Il 40,7% dei rispondenti ha dichiarato di convivere con una persona che aveva necessità di telelavorare e il 32,5% di convivere con uno studente in didattica a distanza. La percentuale è del 20,3% se le persone in telelavoro sono più di una, e del 35,3% se gli studenti sono più di uno”.

“La carenza tecnologica – si legge nel report – ha probabilmente contribuito a elevare i fattori di stress dei docenti, che in DAD è stimato significativamente accresciuto rispetto al lavoro tradizionale anche in una situazione non compromessa dal punto di vista della connessione alla rete internet. La necessità di avere una connessione stabile per portare a termine efficacemente le attività di didattica online ha incoraggiato molti docenti ad attivare nuove tipologie di accesso alla rete più performanti, tuttavia, il 12% degli insegnanti rispondenti affermano che la connessione casalinga non è stata sufficiente per gestire la didattica online”.

Sei d’accordo con le seguenti affermazioni? (v. % di sì) AFFERMAZIONI SI

Le Scuole/Università si devono tenere chiuse fino a emergenza sanitaria rientrata 70,4

Gli studenti devono svolgere attività di recupero estive 30,2

Occorre uno Standard unico o Linee Guida per la DaD 82,4

Occorre una Formazione specifica ai docenti sulla DaD 91,2

La DaD ha svecchiato la didattica e accorciato il digital divide nel corpo docente 58,5

I miei studenti sono stati più solidali e collaborativi fra loro e più responsivi e solleciti con me con questa metodologia 32,1

Con la DaD alcuni miei studenti più isolati o taciturni o poco motivati si sono rivelati più partecipativi e coinvolti 52,2

Vorrei continuare a usare la tecnologia per attività come i colloqui con studenti; colloqui con genitori; consigli di classe; ecc 46,5

Vorrei continuare a usare la tecnologia anche nella didattica in presenza 73,6

Altro tema affrontato è la variazione del carico di lavoro in DAD rispetto alla didattica tradizionale. Il corpo docente esprime un giudizio polarizzato a seconda del grado scolastico: carico diminuito per chi lavora nei nidi, invariato per chi lavoro nel terzo ciclo dell’istruzione, è aumentato per chi lavora negli altri ordini di scuola. “Verosimilmente gli educatori e le educatrici dei nidi dell’infanzia – si legge nello studio – hanno beneficiato, nel periodo di sospensione della frequenza scolastica, di una ridotta richiesta di interazione con la propria utenza a causa della loro giovanissima età, mentre i docenti universitari, presumibilmente, hanno potuto contare sull’elevato grado di autonomia dei loro studenti che ha condizionato il loro carico di lavoro in maniera limitata”.

Se si vanno a focalizzare gli ambiti in cui l’incremento del carico di lavoro è stato maggiormente avvertito dal corpo docente, si osserverà che gli insegnanti del primo ciclo scolastico – la scuola primaria e la scuola secondaria di I grado – sono coloro che hanno maggiormente risentito di questo passaggio per un combinato disposto: la limitata autonomia dei loro allievi e la necessità di efficacia nella didattica. Gli insegnanti della secondaria di II grado, invece, se hanno sperimentato un incremento del carico di lavoro durante la preparazione delle lezioni, questo si è attenuato nella realizzazione delle lezioni stesse. I docenti universitari, infine, fanno registrare una crescita del proprio carico di lavoro soprattutto per ciò che riguarda la realizzazione degli esami (in forma orale o scritta) a causa della necessità di garantire la privacy, la sicurezza, l’idoneità e la veridicità delle prove.

Firmato___________________

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