IL DEGRADO STRUTTURALE DEL POPULISMO e i rischi che corriamo

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IL DEGRADO STRUTTURALE DEL POPULISMO e i rischi che corriamo

Non è possibile affrontare i nodi nazionali ed internazionali che il nostro tempo ci presenta  senza l’Europa. Lo era già da prima, molto prima; ma oggi, di fronte alle problematiche  collegate da una parte ai nazionalismi diffusi e dall’altra alla necessità di fronteggiare emergenze mondiali, è ancora più urgente.

Parto con affermazioni ovvie, perfino banali, per segnalare gli immensi pericoli connessi alla volontà espressa dagli attuali nostri governanti in un contesto peraltro sempre più caratterizzato da una parcellizzazione di egoismi e visioni sovraniste che molto difficilmente  potrebbero comprendersi e convergere su una linea comune che non preluda a soluzioni apocalittiche, quelle che con l’idea di Europa che molti dei nostri “padri” hanno costruito abbiamo potuto evitare per più di mezzo secolo.

Tra poco più di un anno l’Europa potrebbe cambiare; sarà ancor più nostra responsabilità indirizzarne gli obiettivi anche alla luce delle esigenze che vengono espresse da una larga parte delle popolazioni. Non sono qui a negare la legittimità di una forza di Governo a pretendere con forza che tutti i Paesi dell’Europa in modo indistinto e secondo un piano condiviso aprano le porte a coloro che fuggono da teatri di miserie e di guerre; rilevo tuttavia che tale richiesta cozza contro le idee di Paesi che altrettanto legittimamente negano l’accoglienza di tali immigrati. L’Europa è in questo senso estremamente disarmata, incapace ed impossibilitata ad agire se non di fronte ad emergenze umanitarie palesi.

Devo dire tuttavia che il nostro Paese pur avendo dimostrato di possedere una grande apertura nell’accoglienza di tantissimi immigrati non è stato in grado di organizzare al proprio interno un progetto di integrazione diffusa. I Governi di Centrodestra e quelli di Centrosinistra che si sono alternati e susseguiti nel corso degli ultimi venti anni non sono stati in grado di educare la popolazione ad accogliere ed integrare positivamente queste masse. Il tutto è peraltro avvenuto con la complicità di linee di politica economica e strutturali che si riferivano a forme neocapitalistiche che hanno progressivamente impoverito i ceti medi, che sono divenuti di riflesso il serbatoio di voti per populisti e sovranisti, diffondendo posizioni razzistiche di rifiuto totale verso gli  immigrati. Gravissimi sono stati gli errori del Centrodestra, ma molto di più lo sono stati quelli del Centrosinistra che hanno prodotto sconquassi in particolare nel loro elettorato.

Alla base di tutto c’è stato certamente  il rifiuto “organizzato” da parte di numerosi Enti locali afferenti alle Destre che hanno negato l’afflusso di poche unità di immigrati sui loro territori. Davanti a questa pur legittima opposizione si sono verificati concentramenti abnormi in poche realtà soprattutto urbane, anche per questo motivo male organizzate pur in presenza di interventi  onerosi che hanno visto in azione numerose cooperative sociali, molte delle quali fondamentalmente inadeguate a svolgere tali ruoli ma ben pronte ad assumerseli. Hanno avuto di certo il loro bel da fare in situazioni di continua emergenza: molto guadagno ma una grande confusione.

E’ evidente che occorrerà continuare a riflettere su questi temi: l’immigrazione non si fermerà per le urla di qualche tribuno locale. Né peraltro è pensabile che basti dire “aiutiamoli a casa loro” per fronteggiarla. Soprattutto perché finora molti di quelli che lo hanno detto lo hanno fatto a loro vantaggio; escludo a tutta evidenza  la miriade di persone per bene (ne conosco tantissime) che hanno inteso dedicare parte o tutta la loro vita alla cura di quelle popolazioni.

Ma chi pronuncia di nuovo quella frase è un ipocrita che non tiene conto volontariamente delle connessioni  mondiali che stanno ancor più impoverendo quei territori con interventi monocolturali spropositati e depauperamento delle risorse, all’interno di un neocolonialismo perverso. Se non lo sa è un ignorante che non è degno di rappresentare un Paese a livello non solo europeo ma mondiale.

 

J.M.

 

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AGOSTO FLEGREO 2018 – 2

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AGOSTO FLEGREO 2018 – 2

 

E ce ne stavamo seduti su queste assi, mentre di fronte a noi su un banco colmo di oggetti indistinti e non particolarmente invitanti alcune donne svolgevano il ruolo di organizzatrici di una “Pesca di beneficenza” certamente allo scopo di coprire parte delle spese dei vari eventi previsti. Erano molto indaffarate e questo deponeva a favore del successo della loro iniziativa. Avevo intravisto tra loro un volto familiare di tempi molto lontani: una signora  che all’apparenza evidenziava il suo essere a capo del gruppo; tutte le altre signore infatti si riferivano a lei ed anche i ricavi affluivano sotto il suo diretto controllo. Dai miei ricordi ad oggi sembrava  non essere trascorso molto tempo: segno che l’età oggettiva non aveva prodotto cambiamenti nella fisionomia.

“Ciao. Ti ricordi di me?” rivolgendomi a lei ho allungato la mano, dopo essermi alzato ed essere andato sul davanti del banco. “Certamente! Come stai? Abiti al Nord?” “Sì, a Prato ma di tano in tanto ora che sono in pensione ritorno qui” e “Allora? Hai trovato la nostra città migliorata?” Di fronte a questo tipo di domanda mi sento disorientato e rispondo vagamente, genericamente con un “Sìììì…” strascicato seguito da un “Insomma!”. Per fortuna, a salvarmi da questo imbarazzante quesito si è affacciato un altro volto per me noto, avendolo già incontrato in altre mie occasionali puntate flegree.  Me lo presenta come suo marito ed a quel punto mi sovviene che avrei dovuto ricordarmene ma mi mancavano i punti di riferimento: per me erano tutte facce note ma difficilmente accostabili per parentele ed affini. “Sì, ci siamo già incontrati al Circolo; a proposito come stanno i miei amici di infanzia e di gioventù?”   mi riferisco a due fratelli che vivevano nella mia prima abitazione in via Campana 25, quella in cui sono arrivato dopo essere nato a Napoli e ad un grande artista dal volto di pescatore, un po’ stanco ed invecchiato già qualche anno fa, a cui risale l’ultima volta che l’ho incontrato. “Sì, qualche volta lui (l’artista) viene giù ma il maggior tempo ormai lo dedica alla sua famiglia”.

Le campane suonano e gli altoparlanti lanciano a tutto volume i salmi a significare che a secondi uscirà la processione. Ed infatti i fedeli sciamano già per collocarsi in posizione utile ad essere in prima fila sia ai lati che alle spalle della statua. Lascio il dialogo e recupero Mary che intanto aveva trovato degli amici che le ricordavano gli anni dell’Alto Veneto. Li salutammo e “Mi ha chiesto se avessi trovato dei miglioramenti nella città…!” e Mary “E tu? Le potevi chiedere in che senso!”.   “Ma in che senso vuoi che te lo chiedano? A me sembra semplicemente un modo come l’altro per non dire niente. Vale un “come va? Stai bene?” così giusto per dire qualcosa di inutile ad una persona che non vedi da decenni”.

Il problema vero è che questa città opera come una Penelope, che di giorno fila la tela e di notte ne smonta le trame. In più e diversamente dalla donna di Ulisse a Pozzuoli quel che si fa o di giorno o di notte si disfa negli stessi periodi indistintamente e progressivamente, con il risultato che quel che poteva essere un abbellimento  finisce per diventare più brutto e tremendo di quel che c’era prima.

 

J.M.

 

 

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AGOSTO flegreo

 

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AGOSTO flegreo

Intorno alla metà di agosto di solito avviene un cambiamento del clima: “di solito” significa anche “non sempre”. Ma quest’anno la tradizione si è confermata e già un giorno prima del Ferragosto c’è stata un’intera giornata con temporali, fulmini e tuoni possenti con acqua che veniva giù dritta e copiosa. Indubbiamente non è dappertutto così, ma qui nell’area flegrea la ricorrenza della festività della Madonna Assunta che è tradizione consolidata è stata – quest’anno – colpita non solo dalla immane tragedia genovese ma anche dall’inclemenza naturale del clima nelle ore precedenti allo svolgersi delle funzioni laiche (il tradizionale “Palo a sapone”) e religiose (la Processione della Madonna).

Don Antonio ci aveva accolti qualche giorno prima, descrivendo con il giusto orgoglio come si sarebbe svolta la funzione e la processione; ma non aveva potuto tener conto degli eventi futuri. Aveva accennato ad una Messa all’aperto nello spazio ben più ampio antistante la piccola chiesa sul lieve declivio del “Valione”  ma poi il 14 agosto per l’intera giornata e nottata dello stesso 15 si era scatenato Giove pluvio e non era stato possibile né consigliabile allestire il palchetto esterno, per cui tutta la funzione religiosa  era stata ricondotta all’interno, come peraltro era avvenuto negli anni passati. Nel pomeriggio invece la popolare competizione del  “Palo a sapone” era stata rinviata in segno di rispetto per il lutto nazionale per il quale anche le navi da diporto che solitamente usano lanciare il proprio saluto sonoro in omaggio alla Madonna erano state tristemente  silenti.

Mary ed io ci eravamo confusi tra la folla del popolo e le autorità che seguivano in modo distratto dall’esterno lo svolgimento della funzione religiosa. Solo una minima parte riusciva a lanciare lo sguardo all’interno.  Dopo un po’ abbiamo cercato un posto dove sederci e lo abbiamo trovato sotto il portico del Laboratorio dei Vallozzi, Maestri d’ascia di grande valore storico e culturale, che purtroppo hanno dovuto chiudere per stanchezza e consunzione fisica (uno dei due fratelli è venuto meno e l’altro non se la sente più di continuare in assenza di discepoli: è la storia che si ripete purtroppo in relazione ad attività artigianali specifiche e speciali). La loro era un’impresa portata avanti con genialità, della quale ha parlato Dario Antonioli in un film documentario  di qualche anno fa, “Una città in barca” che purtroppo non ho ancora visto. Me ne aveva accennato in un sopralluogo per una location di tipo teatrale un amico di gioventù, Enzo D’Oriano, che è stato l’ideatore di quel film. Sulla porta chiusa c’è una formula “però a comm’stann’ca capa” a segnalare che quell’attività è collegata non tanto alle necessità economiche ma alla libera espressione dell’ingegno umano.

Mary ed io ci siamo però ricordati che qualche mese prima eravamo passati di là e ci eravamo affacciati per curiosare ed avevamo  interloquito con un signore anziano che ci aveva accolti in modo cortese e gentile. L’ambiente presentava già i segni dell’abbandono anche se vigeva un certo ordine. Di tanto in tanto spuntava da qualche segreto nascondiglio qualche gatto impaurito da presenze estranee. In ambienti marinari è consuetudine avere comunità feline per difendersi dai roditori; in cambio ricevono doni ittici, siano residui interi o parziali di un possibile pescato. Non ci trattenemmo molto, però; ed ora che seduti su una delle basi per la costruzione delle barche attendevamo l’uscita della statua della Madonna Assunta  davanti alla porta chiusa ce ne rammaricavamo.

J.M.

 

 

IL DEGRADO STRUTTURALE DEL POPULISMO

 

Montevago, Ruderi
Montevago, Ruderi

IL DEGRADO STRUTTURALE DEL POPULISMO

Le giornate di metà agosto sono state funestate da eventi  drammatici, che hanno evidenziato il degrado complessivo della nostra società.  Indubbiamente gli “annunci” vi erano stati e prolungati nei tempi, ma la funzione di Tiresia o Cassandra è spiacevole e contornata da una inutilità ormai acclarata. Purtroppo non si può essere solo intellettuali da salotto, occorre sapersi cimentare con le piazze e non bastano più solo quelle virtuali. Nel corso degli ultimi anni alcuni di noi “invece” hanno utilizzato questi mezzi che apparivano ultramoderni e sembravano garantire visibilità e successo. Lo è stato certamente per qualcuno che ha usufruito di particolari fortune;  ma solo per qualcuno, beninteso, come di norma accade.

Abbiamo conosciuto fasi politiche che apparivano contrassegnate da finalità sovversive; le abbiamo combattute ma siamo rimasti invischiati all’interno di quella melassa che aborrivamo, anche perché a noi sembrava fosse finita l’era dell’effimero berlusconiano con la sua decadenza morale e fisica. Qualcuno anche dei nostri interpretava la rivincita inserendosi nel solco di quello stile; si avvertiva il bisogno assoluto di potere a prescindere dalle qualità morali e non è parso vero agli sconfitti di poter contare su figure che apparissero contrassegnate da valori apparentemente affini a quelli della Sinistra ma con uno stile che proseguiva i percorsi progettuali  neocapitalistici. Per un po’ ha funzionato a loro vantaggio fino a quando la parte peggiore di questa società non ha svelato l’arcano, relativo al fatto che i mestieranti non avrebbero mai potuto raggiungere le capacità dei professionisti.

Abbiamo quindi  fatto consegnare il Paese nelle mani di altri mestieranti, apprendisti stregoni che lo distruggeranno. Occorre grande senso di responsabilità e grande attenzione; il populismo rappresenta il degrado morale del Paese, direttamente. I leaders che parlano espongono il disappunto di una parte maggioritaria della gente, ma come quest’ultima non sono in grado nella maniera più assoluta di portare a soluzione i problemi. Questo è il merito ed il limite del populismo. E quando accenno al merito mi pongo solo fittiziamente dalla parte dei vincitori spostandomi immediatamente dall’altra parte quando accenno al limite.

Potrà apparire una forzatura ma è una spinta alla riflessione l’accostamento tra il ponte di Genova, la nostra società e la sua “massima” rappresentanza politica, cioè  questo Governo.

Il ponte aveva da tempo mostrato i segni del degrado ed era stato oggetto di discussioni sotto traccia e di scontri che oggi consideriamo  paradossali, simili alle danze tribali delle Parche che si svolgono intorno ai destini degli uomini. Oggi quell’opera considerata nel corso degli anni esempio eccelso dell’ingegno italico è crollata creando lutti e disperazione; la risposta del Governo è apparsa immediatamente populistica ed invece di stringersi in silenzio intorno alle numerose vittime ha sollevato il dito accusatorio verso i propri “padri” senza un minimo di riflessione intorno alle ragioni vere per cui quel disastro si è verificato. “Tutti” siamo colpevoli ma non siamo assolti. Le ragioni del “mercato”, del “profitto” non vengono meno accusando una parte sola del contesto sociopolitico economico di cui fanno parte, insieme a “tutti” in un afflato populistico, anche il Movimento 5 Stelle e la Lega (Nord, Centro e Sud). Non solo loro, ma tutti noi sia che ci si riferisca ad un Partito o Movimento oppure alla schiera del “non voto” siamo colpevoli.

E, dunque, è il silenzio propositivo che sarebbe la migliore risposta alla tragedia. Ma invece, no. Si sbercia soprattutto per tacitare la propria sporca coscienza. Non servirebbe un silenzio prolungato tombale, ma l’avvio di una riflessione utile per tutti.

Nel frattempo molto eloquente è stato il “grande silenzio” su Rita Borsellino; e forse dovremmo tutti riflettere su questa disparità di comportamento: anche essa è il portato di uno stile, di un “cambiamento” (un arretramento) che non ha precedenti, ma è una parte di un baratro che se non finisce ci porterà alla rovina.

Joshua Madalon

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NAPOLI è……

 

 

 

 

 

 

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NAPOLI E’ TANTO, UNA CITTA’ RICCHISSIMA DI STORIA, DI CULTURA NEL SENSO PIU’ AMPIO DEL TERMINE

LE IMMAGINI SONO RIFERITE AL COMPLESSO DI SAN GIOVANNI IN CARBONARA, A QUELLO DI SANTA MARIA LA NOVA ED A PANORAMI FLEGREI

NON MANCA L’OMAGGIO A PULCINELLA ED A PINO DANIELE

 

J.M.

PASSEGGIATE FLEGREE giugno 2018 – parte 8

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PASSEGGIATE FLEGREE giugno 2018 – parte 8

Un ingresso molto stretto attraverso una porticina aperta solo a metà introduceva ad un corridoio buio, ancorché illuminato da una flebile luce che proveniva dal fondo sulla nostra sinistra: scendemmo due gradini e curiosando all’ingrosso sugli oggetti posti alla rinfusa sugli scaffali ci rendemmo conto di essere in un ambiente dal fascino archeotecnologico. Ci dirigemmo verso quella che doveva essere la figura di Claudio, che intanto aveva sospeso quello che appariva essere un impegno di coordinamento di altri due giovani seduti, di fronte dietro un ampio tavolo ricolmo di testi di varia misura, ed intenti a smanettare su due portatili. La stanza era illuminata in gran parte naturalmente da un balcone che affacciava sulla linea ferroviaria. Dappertutto una grande confusione tipica degli ambienti di studio e di arte; non ne potevamo essere sorpresi né tantomeno potevamo ergerci a giudici severi:  casa nostra spesso aveva posseduto  quell’aspetto.

Sì, di Claudio avevo già sentito parlare come di un operatore culturale intelligente ed originale; sapevo ma, come troppo spesso è accaduto, la lontananza non mi ha consentito di mantenere i vecchi contatti o di costruirne di nuovi.  Non è che non ci abbia provato, ma poi il ritmo della vita a circa 900 poi 600 chilometri di distanza non me lo ha permesso. Non sapevo, però, di queste due grandi passioni di Claudio: quella per l’archeocinema e quello per il recupero bibliografico di testi attraverso la digitalizzazione, anche di testi unici ed introvabili.  Egli  ci fece accomodare, la qual cosa con il caldo e con la stanchezza che non veniva meno era gradevole;  ci offrì dell’acqua fresca che era quel che desideravamo e ci raccontò di alcune iniziative sul territorio flegreo in relazione agli anni ed ai temi del bradisismo ed alle bellezze archeologiche riprese e montate con l’ausilio di strumenti modernissimi come i droni e le centraline digitali. I ragazzi intanto uno dopo l’altro stavano andando via ed anche Claudio sembrò mantenere la pazienza con noi per cortesia.    Bastò uno sguardo tra me e Marietta e “Ti ringraziamo, passeremo nei prossimi giorni. Semmai ti chiamiamo per fissare con comodo”. E dopo esserci scambiati i numeri di cellulare ci salutammo.

Riprendemmo a salire, confortati dal ristoro materiale e culturale, verso il Carmine. Le scale sono basse e lunghe e se non si ha fretta sono meno faticose di tutte le altre che dal mare portano in collina. C’è un gran bel panorama quando si passa sotto il complesso dell’Immacolata  i cui muri sono cosparsi di ottime piante di cappero. Arrivati al culmine mentre si dà un ultimo sguardo al panorama del golfo ed alla struttura della chiesa barocca di San Raffaele da un lato e dall’altro della Villa Avellino, ci si trova davanti all’ex residenza dei carabinieri ora trasformata in uno splendido elegantissimo complesso residenziale. Subito dopo c’è il Cinema che porta il nome della più importante figura artistica vivente di Pozzuoli, Sofia Loren.

Pian piano eravamo tornati sotto casa.

“Fru fru” la nonnina con lo sguardo smarrito catatonico vagava tra le auto in sosta. “Fru fruuu” e sapemmo che si trattava di una gattina randagia che tuttavia di norma a quell’ora gradiva servirsi al desco dell’anziana donna e quel giorno non si era presentata……. Ci descrisse come era e gli occhi trasmettevano affetto per una sorta di figliola o nipotina surrogata. Per qualche attimo girammo lo sguardo affacciandoci anche sotto le auto; qualche gatto c’era ma non corrispondeva alla descrizione e tra l’altro non mostrava interesse al nostro richiamo. Salutammo la vecchina augurandole di poter ritrovare Frufru. Ed in modo irriverente mi venne in mente un classico della canzone napoletana, “Dove sta Zazà”.

 

J.M.

 

BUON FERRAGOSTO

 

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BUON FERRAGOSTO

Quest’anno è funestato da una serie di eventi catastrofici: non bastava il Governo grigionero,  abbiamo dovuto subire la disgrazia di Genova ed i commenti miserabili di qualche personaggio come il “milesgloriosus” pratese che utilizza un evento così drammatico per puntualizzare la sua posizione politica: lo sappiamo bene quale sia il suo “nonpensiero”; risparmi l’umiliazione alle vittime della tragedia e colga l’occasione per rimanere muto. Poi eventualmente ci ripensi e si scusi; questo sarebbe opportuno.  Non si nasconderà certamente dietro un possibile “fake”: è un vero uomo, tutto di un pezzo. Tocca a noi decidere di quale “pasta”.

Di fronte alle tragedie spunta la nostra bontà; qualcuno però ne approfitta,  facciamo attenzione a non essere “dabbene”:   buoni sì ma non fessi.    E’ accaduto e sta accadendo anche nel richiamo all’unità “antifascista”. Ormai c’è chi non ci casca; ma adesso non sta zitto. E si impegna per la costruzione di una vera alternativa.

Buon Ferragosto,  se possibile, senza dimenticare chi non lo potrà festeggiare.

J.M.

 

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reloaded 19 e 20 aprile 2018 da giovane: la sensibilità ambientalista, storica e culturale – settima parte – 1 e 2

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Lo scorso 19 e 20 aprile avevo pubblicato queste parti 1 e 2 del blocco 7 dedicato alle mie esperienze giovanili. Oggi, 14 agosto le ripropongo e darò loro un seguito da domani.

 

Grazie per la vostra attenzione

 

Joshua Madalon

 

 

19 e 20 aprile —-  da giovane: la sensibilità ambientalista, storica e culturale – settima parte – 1

Alla fine degli anni Sessanta la mia formazione culturale era stata legata ad una profonda libertà; mi scrollavo di dosso ciò che mi veniva imposto dagli altri e cominciavo a rendermi conto di quale sarebbe stato il mio “tempo”. Amavo il mio territorio senza retoriche scioviniste. Lo scrutavo, analizzando i comportamenti umani che lo deturpavano, incoraggiati da un Potere corrotto come da eterno copione.
Nei post precedenti ho ripercorso alcuni aspetti della mia formazione, solo pochi e solo epidermicamente. Ho cercato di utilizzare l’ironia, quando mi sembrava utile, ma non sempre riuscendoci a pieno. Nella vita capita a ciascuno di noi di avere occasioni varie che ci sospingono. A volte è necessario il coraggio, altre volte invece è una vera e propria Fortuna che ti accoglie tra le braccia. Mi è stato consentito di nascere e di vivere in un posto ed in un tempo nel quale la Storia ci consentiva di ricordare un Anniversario straordinario tondo tondo: 2500 anni, un doppio millennio e mezzo; questo è quel che avveniva nel 1972 a Pozzuoli, l’antica Dicearchia greca, poi Puteoli al tempo dei Romani. E sono stato davvero fortunato perché quella città dal 1953 fu scelta da Adriano Olivetti per insediarvici una delle sue fabbriche (per capirci quella di “Donnarumma all’assalto” di Ottiero Ottieri, romanzo del 1959). Il luogo dove essa fu costruita è una delle straordinarie terrazze panoramiche sul golfo di Pozzuoli. La fabbrica costituiva per l’organizzazione una grande scommessa per il mondo del lavoro del nostro Paese: purtroppo diventerà un caso da manuale e poco più.
Grazie alle mie “amicizie” di cui ho accennato in altri post “da giovane” fui inserito in un contesto celebrativo dei 2500 anni di Dicearchia. Il Comune ed altri enti di cui oggi poco ricordo sponsorizzati da Olivetti avviarono sin dall’autunno del 1970 la progettazione e mi chiesero di produrre un libretto da diffondere nelle scuole, quelle medie inferiori e le ultime due della primaria. Partecipai ad una serie di incontri del Comitato organizzatore come giovane studente che aveva mostrato attenzione verso i problemi ecologici, che dalle nostre parti erano già acuti, abbinati ad una conoscenza dei territori storici e geologici. Nei prossimi post mi dedicherò alla riproposizione di quei temi così come riportati nel testo del libretto.
da giovane: la sensibilità ambientalista, storica e culturale – settima parte – 2

Gabbiani o viandanti medievali pellegrini alla ricerca del loro destino, avrei voluto essere! I secondi alla fin fine mi assomigliavano di più perché non potevo volare se non che con la fantasia ed in anticipo sui tempi mi inventai il “drone”.

D’altronde non possiamo sceglierci il luogo né la famiglia; ma l’uno e l’altra sono due delle mie grandi fortune. Solo la fine della nostra esistenza ci renderà piatti ed un luogo varrà l’altro così come una famiglia.
Nascere e “vivere” nei Campi Flegrei è stato ed è straordinario. Non esiste un luogo nel quale la leggenda, il Mito e la Storia si sono intrecciate in modo così continuativo ed intenso. Le abbiamo respirate tutte quelle vicende e le portiamo dentro di noi. Non c’è altro luogo che possa contenere tutta la “bellezza” che qui trasuda dalle zolle sulfuree e dalle onde che emanano profumo di salsedine ineguagliabile nella sua composizione vulcanica. Viviamo tra e dentro i vulcani e la nostra terra ribolle come il nostro sangue sempre caldo.

Joshua Madalon

RITORNO A POZZUOLI estate 2018

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RITORNO A POZZUOLI estate  2018

“No, la signora a fianco non c’è. E non c’è neanche il cane!” è stato  più o meno il primo messaggio, forse preceduto da un cenno di saluto forse no non ricordo, la prima forma comunicativa complessa che l’amico del piano di sopra ci ha riservato non appena ci siamo incontrati “da vicino”. In realtà “da lontano” ci avevano sonoramente salutati dall’alto del terzo piano, non appena abbiamo messo piede nel cortile, scendendo,  affaticati dal viaggio, dopo sei ore di traffico agostano intenso ma non tanto quanto si temeva. Quel primo saluto era inatteso, perché di solito gli occhi vigili si nascondono dietro le tapparelle ma non si palesano: forse siamo arrivati proprio dietro l’ora di pranzo e nel corso dello scotimento della tovaglia da tavolo per la goduria di qualche piccione residuo, dopo che i gabbiani li hanno spodestati, e le maledizioni dei condomini sottostanti.

Poi abbiamo avuto il nostro daffare per svuotare l’auto che stavolta non era così ingolfata ma non meno faticoso è stato il trasbordo fatto velocemente anche per evitare il timore del tutto assurdo di qualche lestofante convinto di aiutarci nel trafugare qualche pacchetto e reale di qualche bestiola, tipo gattini vari incuriositi ed attratti dalla loro atavica fame, che si intrufolava nel passaggio tra una consegna e l’altra;  era infatti accaduto in un’altra occasione che tra una corsa e l’altra in tre di loro si erano fiondati dentro, forse attratti dal profumo di cibi . Occorreva  puntare a record sempre più improponibili con l’avanzare dell’età. Ma con quel caldo ed a quell’ora i pericolosi lestofanti presunti erano al mare ed i gatti sonnecchiavano all’ombra  tra le siepi di due ampie aiuole e sotto altre due auto che sostavano in quel piazzale, cercando di digerire quel poco che mani pietose avevano loro preparato.

Dopo aver sbagagliato dovevamo sistemare il tutto, ma di tempo ce ne avevamo e la stanchezza superava l’appetito che pure non era stato soddisfatto nel corso del viaggio. Per cui decidemmo di “saltare” ambedue le incombenze e ristorati da una doccia fredda, visto che non avevamo neanche riattivato la caldaia ci siamo adagiati direttamente sul copriletto. Abbiamo lasciato tutto nel pieno disordine. Poco più di un’ora di riposo in un ambiente straordinariamente fresco a dispetto delle temperature esterne e senza ausili tecnologici è bastata. Questo, grazie anche al silenzio che non ti aspetti, visto che siamo in  realtà tradizionalmente chiassose; ma, e già, saranno tutti al mare oggi che è un lunedì, il 6 di agosto 2018.

“Scusate il disordine! Abbiamo deciso di lasciar tutto in giro ma in cucina è tutto libero. Venite qui!” gli amici del piano di sopra erano impazienti di rivederci da vicino e “blin blon” avevano suonato alla porta. E non avevamo dubbi che fossero loro quando abbiamo sentito quel suono.  In realtà non vorrei dare la sensazione che fossero  indesiderati;  ben altro: è sempre stato ed è un piacere dialogare con loro.

E, poi  “La signora a fianco a noi, quella che di notte ossessiona i vostri sonni con tacchi e rumori vari non c’è. E’ in vacanza. E non c’è neanche il cane! C’è la figlia”.

…parte 1…continua

 

Joshua Madalon

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Commento su quel che è accaduto pochi giorni fa sulla tratta ferroviaria Milano – Verona

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Commento su quel che è accaduto pochi giorni fa sulla tratta ferroviaria Milano – Verona

Ieri ho pubblicato un mio vecchio post del 31 maggio scorso, annunciando contestualmente che avrei scritto ancora sul tema dei rom, dei sinti e dei caminanti in Italia, alla luce di eventi e di esperienze generali ed individuali. Già nel post di ieri facevo riferimento al fatto che per ciascuno di noi, al di là di quanto possiamo interpretare i fatti con la nostra personale sensibilità e preparazione culturale, contino le esperienze.

Poiché ne stiamo riparlando anche in relazione al caso della capotreno che, in una corsa del convoglio Milano-Mantova, ha fatto mostra del suo pensiero in modo evidente, utilizzando – volontariamente o meno non importa molto – il canale di comunicazione pubblico interno inveendo in modo peraltro violento e scomposto contro mendicanti e “zingari”, vorrei esporre ulteriormente il mio giudizio politico.

Tra le mie esperienze dirette ho assistito ad un caso esemplare di gestione soft di un evento pressoché simile. Attendevo la partenza del treno metropolitano che da Pozzuoli conduce a Napoli. Abitualmente prima di partire si attende l’incrocio con il treno che da Napoli giunge nella città flegrea. A volte è un treno che poi prosegue verso Villa Literno. Già nell’attesa sul binario mia moglie ed io eravamo stati infastiditi da un gruppo di “nomadi”; la loro presenza di per sé non dovrebbe creare disagio ma già l’attesa di poter essere importunati non è piacevole: è un pregiudizio? Lo sarebbe ancor più se  poi non fosse reale il loro comportamento.   Intanto si erano aperte le porte del nostro convoglio e ci siamo affrettati a salire. Dal nostro “punto di veduta” abbiamo però assistito al trattamento fermo e deciso  di capotreno e conduttore del treno per Villa Literno nei confronti di quel gruppo che intendeva utilizzarlo senza avere il titolo di viaggio. Non un atteggiamento violento, a parte il fatto che, a farne le spese sono stati gli altri viaggiatori, costretti a dover utilizzare una sola porta, essendo state bloccate tutte le altre: non c’è stata forma repressiva indistinta e “razzista” in quanto alcuni componenti del gruppo dei nomadi in possesso regolare del titolo di viaggio sono stati fatti salire.

Molto diverso è stato il caso da cui siamo partiti: la capotreno nell’adempiere alle sue funzioni deve mantenere pur nella fermezza della richiesta del rispetto delle regole un tono basso moderato.  Non può essere tollerato il suo gesto.

Allo stesso tempo chiedere alla popolazione nomade nel suo complesso il rispetto delle regole civili non può in alcun modo significare attacco xenofobo alla storia di quel popolo in particolare riferita alle continue persecuzioni subite.      Né tuttavia quella “storia” può autorizzare quel popolo ad avere trattamenti diversi rispetto al resto della popolazione civile.  Anzi: il perpetuarsi di trattamenti “speciali” nei confronti della popolazione nomade non fa che creare intorno ad essa un senso di impotenza da parte della popolazione stanziale ed una richiesta sempre più esplicita di giustizia sociale, acuendo i toni del rifiuto di tener conto delle ragioni “storiche” che hanno prodotto tale differenziazione.

Parlo soprattutto alla Sinistra: la difesa ad oltranza della “libera attività” del popolo nomade (Rom e Sinti) non può essere assunta a valore. La mendicità ed alri comportamenti “libertari” non possono  essere considerati  “valori”.   Vi sono norme inderogabili: l’igiene, l’istruzione, il lavoro. Lo Stato deve garantire e pretendere.

 

 

Non rendersi conto che, proseguendo nella difesa di comportamenti del tutto alieni dall’essere “civili”, si finisce per fare il gioco delle Destre. Avanzando tali critiche non avverto su di me l’ombra della xenofobia: rinchiudersi a riccio non porta ad alcun risultato positivo e si finisce per non fare gli interessi delle stesse comunità nomadi che rischiano di finire sul banco degli accusati e dei perseguitati, anche per nostra responsabilità.

Tra l’altro occorrerebbe considerare che diventa ancor più difficile far comprendere alla gente che si chiede alle etnie migranti, provenienti da paesi martoriati dalle miserie e dalle guerre,  uno sforzo di integrazione mentre vi sono categorie che da questo punto di vista sono restie da sempre ad integrarsi nel contesto civile all’interno del quale pure permangono.

 

Joshua Madalon

 

 

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