20 giugno – UN MIO POST del 23 giugno 2020 – IL RITORNO ALLA NORMALITA’

UN MIO POST del 23 giugno 2020

IL RITORNO ALLA NORMALITA’

Mi ripeto: una delle peggiori “epidemie” che colpisce le nostre popolazioni si chiama “amnesia”. Ieri scrivevo che ci siamo inoltrati nel distanziamento abbandonando nel “cestino” del nostro cervello tutto quello che fino a quel momento ciascuno di noi aveva detto, scritto, fatto, pensato e praticato. Anche per questo, sento di essere un maledetto imperterrito insistente rompiscatole, continuo a praticare la memoria “critica” (quella di cui trattavo ieri che non ha soluzioni univoche). Durante questo lungo senza dubbio inedito inverno molti di noi si sono limitati negli spostamenti e lo hanno fatto quasi con piacere, costruendosi dei ritmi domestici che non consentissero di avvertire la mancanza di socialità. Molti, ma non tutti, anche perché una parte considerevole è stata posta in difficoltà sia per le risorse economiche di cui non disponevano ( ma qui il discorso diventa anche “politico” ed “antropologico” e vale la pena soffermarci su questo tema in uno dei prossimi post ) sia per gli spazi angusti in cui dovevano necessariamente muoversi.
Appartengo per fortuna al primo macro-gruppo: solo un lieve reflusso di ipocondria mi ha interessato. Ma era anche il frutto di una riflessione concreta. Da giovane sono stato ipocondriaco ma con l’età ho razionalizzato le paure e le ho superate con l’impegno costante nella Politica e nelle attività culturali. Pur tuttavia in quei giorni, nei primissimi giorni drammatici, ho avvertito qualche lieve diisturbo psicosomatico ma in defintiva ero angosciato da un problema concreto che mi tormentava: non poter essere tranquillo sul fatto che, di fronte ad un malessere reale non riferibile ai problemi pandemici (un ictus, una disfunzione cardiaca; insomma qualcosa di veramente serio), non ci potesse essere da parte del Servizio Sanitario pubblico una risposta rapida e perlomeno sufficiente.
In quel periodo non era neanche immaginabile di poter andare al Pronto Soccorso così come mi è capitato di poter fare all’inizio dell’unica patologia seria che mi è stata riconosciuta: in quell’occasione, ma sono passati quasi dieci anni, ebbi modo di apprezzare la professionalità complessiva del personale sanitario che, in un tempo ragionevolmente veloce, diagnosticò la mia ipertensione.
Ritornando al “prima”, ma rimanendo sul “tema”, vorrei ricordare che negli ultimi anni si è andato progressivamente riducendo il ruolo della Sanità pubblica a Prato ed in Toscana. Sono stati chiusi molti Distretti periferici e sono stati ridotti i posti letto nel nuovo Ospedale. Già prima che scoppiasse la pandemia c’era chi lamentava l’aumento esponenziale degli accessi al Pronto Soccorso ed in quelle occasioni si segnalava da parte delle Sinistre la sottovalutazione del ruolo della Sanità pubblica a favore di quella privata. Su questi temi occorre ritornare a denunciare e proporre.
Durante il periodo pandemico più duro per diversi motivi la Sanità pubblica è stata dominante ma l’attenzione maggiore era per i contagiati ed i malati Covid19. La Sanità privata ha provato ad inserirsi nel contesto ma lo ha fatto in modo maldestro, svelando la sopravvalutazione dei “propri” interessi: si dirà che ciò sia inevitabile in una società dove prevale la logica del “mercato”, ma bisognerebbe anche saperne limitare gli ambiti in momenti di emergenza.
Con il ritorno alla normalità risaltano nuovamente ed in modo più eclatante i difetti del tempo di “prima”. Come la questione dell’accesso al Pronto Soccorso, che in questi giorni è intasato da richieste a volte improprie e banali e mette in evidenza la “complessità” del fenomeno, dovuto essenzialmente alla mancanza ormai “cronica” di presidi di medicina territoriale e difficoltà che genera sfiducia nel rapporto con i medici di base. Questi ultimi finiscono per essere considerati come consiglieri trascrittori di ricette o poco più, anche per le restrizioni imposte dalla dirigenza regionale che li limita nel loro specifico lavoro.
Anche in Toscana, meno però che in altre Regioni più “operose” dal punto di vista manageriale (ivi compresi gli ambiti sanitari), il Covid19 ha posto in evidenza i limiti dell’azione politica, in questo caso, del Centrosinistra, che – fatte le debite distinzioni poco meno che “ideologiche” – non ha operato per valorizzare le funzioni pubbliche ma ha avvantaggiato – anche nascondendosi dietro le lungaggini delle pratiche burocratiche – di fatto il “privato”, anche se convenzionato.

Joshua Madalon

19 giugno – PICCERE’ – un recupero con revisione – 3 (per la parte 2 vedi 2 giugno)

3
Il viaggio fu lungo; i bambini erano davvero monelli e Adelaide dovette rimproverarli più e più volte. Era la prima volta ed erano tante le prime volte una dietro l’ altre per Picceré, che non solo non aveva mai visto il mare ma dovette anche imbarcarsi entrando nella pancia di un palazzo enorme tutto fatto di ferro che portava tante automobili dall’altra parte del mare verso quello che chiamavano “il continente” e poi una volta usciti fuori da quel buco l’auto continuò a percorrere strade piccole e grandi e lei guardava dal finestrino, e gli occhi saettavano su tutto e bevevano le novità che le andavano incontro. Si fermarono in un posto con aiuole verdi e fiorite verso il primo pomeriggio e Adelaide da un cesto che aveva nel portabagagli aveva tirato fuori una mezza forma di caciocavallo ed un mezzo prosciutto e con due pagnotte aveva cominciato, seduta in un angolo ed appoggiato il tutto su una ampia tovaglia, ad affettare formaggio, prosciutto e pane ed aveva distribuito la merenda al marito, alle “pesti” ed a Piccerè, che andava trasformando l’entusiasmo in tristezza. Poi ai ragazzi ed alla giovane aveva dato una bottiglia di acqua perché la bevessero a canna ed a Stefano – ed un po’ anche per sé – una fiaschetta di vino rubizzo delle loro fertili campagne siciliane. Arrivarono a Prato che era buio; i ragazzi si erano stancati di saltellare e provocarsi a vicenda e si erano addormentati. Piccerè saettava con gli occhi da ogni parte anche se non capiva quasi niente, tanti erano i paesaggi che scorrevano; e sul far della sera poi tutto era indistinto difficile e la ragazza era davvero confusa, ancora più triste: forse era il buio della notte che incombeva. Adelaide lo capì e quando si fermarono che erano sotto casa chiese al marito di provvedere lui ai ragazzi e a scaricare la macchina e presa sottobraccio la giovane la volle accompagnare amorevolmente in casa mostrandole la sua cameretta. Era troppo stanca e lasciatala lì a mettere a posto le sue poche cose ché dopo qualche minuto sarebbe poi salita a prenderla per una cena frettolosa giusto per non andare a dormire digiuni, Adelaide la ritrovò che già dormiva alla grande, le spense la luce, le rimboccò le lenzuola e le diede un bacio sulla fronte.

La città, quella mattina, si era risvegliata con i soliti rumori, soliti per chi la vive e vi si è abituato. Sotto la casa di Adelaide e ……. dove la sera prima era arrivata, Piccerè cominciò a sentire strani e prolungati progressivamente prolungati rumori che venivano da lontano, si avvicinavano si allontanavano ma poi riprendevano e poi si mescolavano ad altri che provenivano da altre direzioni; così almeno pareva a Piccerè, che non ne aveva mai sentiti di così fastidiosi fino a quel mattino. A casa sua era la natura a tenerle compagnia nei giorni di vento che scendeva forte dalle alture o proveniva dal mare lontano e squassava il fogliame degli alberi di gelso o le querce che circondavano il fosso che separava la proprietà della sua famiglia da quella di compare Sauro; erano i galli che già alle prime luci intonavano il loro rituale risveglio o le mucche che attendevano le cure giornaliere; erano le voci degli “uomini” che si occupavano di preparare le prime attività sorseggiando tazzoni di caffelatte mentre finivano di vestirsi; le donne, le sorelle più grandi, avevano il compito di preparare in silenzio una prima colazione veloce. A Piccerè non toccavano questi lavori mattutini ed ascoltava in silenzio poltrendo ancora una buona mezzora nelle lenzuola ruvide di tela grezza. A casa sua…fino alla mattina prima.

18 giugno – INFER(N)I – altri Inferni – non solo Dante – “ENEIDE” di Publio VIRGILIO Marone – 3/a (vedi 6 giugno)

Chi, come me, ha respirato sin dai primi vagiti l’aria sulfurea della Solfatara e ha percorso sentieri flegrei, caldi e bollenti, intorno a quel Lago le cui profondità sembrano essere ignote, l’Averno, non può fare a meno di tralasciare la menzione del Libro VI dell’”Eneide” di Publio Virgilio Marone. Quel luogo, il cui nome transitato dal greco antico  (alfa privativa e ὄρνεον , uccello ) sta ad attestare che su quello specchio d’acqua immoto non possono transitare uccelli senza rischiare di precipitarvi esanimi, mi è stato familiare ed ogni qualvolta faccio ritorno nella mia terra natia non manco di percorrere il suo periplo anche più di una volta. Fino a qualche anno fa era peraltro possibile far visita “guidata”, accompagnati da un anziano signore autoctono che amava farsi ritenere “Caronte”, ad un antro che si inoltrava, attraverso un sentiero, nelle viscere del costone di quelle alture a sud ovest. In realtà quel varco conduceva verso il mare (non va dimenticato che il Lago fu utilizzato sin dai primi anni dell’Impero come rifugio sicuro della flotta romana) ma come tante altre parti del territorio era andato in disuso e poi coperto da frane e vegetazioni.

Ecco il Libro VI di cui riporto alcune parti nelle traduzioni di Luca Canali – primo blocco – e di C. Vivaldi – secondo blocco.

V’era una profonda grotta, immane di vasta apertura; rocciosa, difesa da un nero lago e dalle tenebre dei boschi, sulla quale nessun volatile poteva impunemente dirigere il corso con l’ali; tali esalazioni si levavano  effondendosi dalle oscure fauci alla volta del cielo. [Da ciò i greci chiamarono il luogo con il nome d’Aorno.] Qui dapprima la sacerdotessa collocò quattro giovenchi dalle nere terga e versò vino sulla loro fronte, e strappando dalla sommità del capo setole in mezzo alle corna,  le pose sui fuochi sacri, prima offerta votiva, invocando con forza Ecate, potente nel cielo e nell’Erebo. Altri sottopongono coltelli e raccolgono nelle coppe il tiepido sangue. Enea sacrifica con la spada un’agnella di nero vello alla madre delle Eumenidi  e alla grande sorella, e a te, o Proserpina, una vacca sterile. Poi appresta notturne are al re stigio e pone sulle fiamme interi visceri di tori versando grasso olio sulle fibre ardenti. Ed ecco, alla soglia dei primi raggi del sole,  la terra mugghiò sotto i piedi, i gioghi delle selve cominciarono a tremare, e sembrò che cagne ululassero nell’ombra all’arrivo della dea. «Lontano, state lontano, o profani» grida la veggente, «e allontanatevi da tutto il bosco; e tu intraprendi la via, e strappa la spada dal fodero;  ora necessita coraggio, Enea, e animo fermo.» Disse, ed entrò furente nell’antro aperto; egli con impavidi passi s’affianca alla guida che avanza. Dei, che governate le anime, Ombre silenti, e Caos e Flegetonte, luoghi muti nella vasta notte,  concedetemi di dire quello che udii, e per vostra volontà rivelare le cose sepolte nella profonda terra e nelle tenebre. Andavano oscuri nell’ombra della notte solitaria e per le vuote case di Dite e i vani regni: quale il cammino nelle selve per l’incerta luna,  sotto un’avara luce, se Giove nasconde il cielo nell’ombra, e la nera notte toglie il colore alle cose. Proprio davanti al vestibolo, sull’orlo delle fauci dell’Orco, il Pianto e gli Affanni vendicatori posero il loro covile; vi abitano i pallidi Morbi e la triste Vecchiaia,  la Paura, e la Fame, cattiva consigliera, e la turpe Miseria, terribili forme a vedersi, e la Morte, e il Dolore; poi il Sonno, consanguineo della Morte, e i malvagi Piaceri dell’animo, e sull’opposta soglia la Guerra apportatrice di lutto, e i ferrei talami delle Eumenidi, e la folle Discordia,  intrecciata la chioma viperea di bende cruente. Nel mezzo spande i rami, decrepite braccia, un olmo oscuro, immenso, dove si dice che abitino a torme i Sogni fallaci, e aderiscono sotto ciascuna foglia. Inoltre numerosi prodigi di diverse fiere,  i Centauri s’installano alle porte e le Scille biformi e Briareo dalle cento braccia e la belva di Lerna, e orribilmente stridendo, armata di fiamme, la Chimera, e le Gorgoni e le Arpie, e la forma del fantasma dai tre corpi. Allora Enea, tremante d’improvviso terrore, afferra la spada, e ne oppone la punta ai venienti, e se l’esperta compagna non lo ammonisse che si tratta di vite che volteggiano tenui, incorporee, fantasmi in cavo sembiante, irromperebbe, e invano col ferro squarcerebbe le ombre. Di qui la via che porta alle onde del tartareo Acheronte.  Qui un gorgo torbido di fango in vasta voragine ribolle ed erutta in Cocito tutta la sabbia. Orrendo nocchiero, custodisce queste acque e il fiume Caronte, di squallore terribile, a cui una larga canizie incolta invade il mento, si sbarrano gli occhi di fiamma,  sordido pende dagli omeri annodato il mantello. Egli spinge la barca con una pertica e governa le vele, e trasporta i corpi sullo scafo di colore ferrigno, vegliardo, ma dio di cruda e verde vecchiezza. Qui tutta una folla dispersa si precipitava alle rive,  donne e uomini, i corpi privati della vita di magnanimi eroi, fanciulli e intatte fanciulle, e giovani posti sul rogo davanti agli occhi dei padri: quante nelle selve al primo freddo d’autunno cadono scosse le foglie, o quanti dall’alto mare  uccelli s’addensano in terra, se la fredda stagione li mette in fuga oltremare e li spinge nelle regioni assolate. Stavano eretti pregando di compiere per primi il traghetto e tendevano le mani per il desiderio dell’altra sponda. Ma lo spietato barcaiolo accoglie questi o quelli,  gli altri sospinge lontano e scaccia dalla spiaggia.

….segue secondo blocco Libro VI “Eneide”

17 giugno – CANI GATTI E FIGLI – parte 6 (per la 5 vedi 10 maggio)

Tutti ci scoraggiavano, sottolineando che sarebbe stato molto difficile avere un trasferimento nelle zone dove “noi” volevamo andare (la Romagna o la Toscana). Era essenzialmente anche un attestato di “stima”. Il nostro impegno “giovane” pieno di entusiasmo ed iniziativa era apprezzato. Io mi occupavo di Politica, di Sindacato e di Cultura, soprattutto quella cinematografica per la quale avevo da molto tempo acquisito qualche esperienza. Mary insegnava in un Liceo Scientifico e tra le sue allieve c’era una ragazza che abitava a Porcen uno dei tanti paesini del territorio “feltrino” sulla strada che porta a Seren del Grappa e possedeva una piccola fattoria; si chiamava Silvia e poiché Mary le parlava della nostra gattina si candidò a prendersene cura nel periodo in cui saremmo stati via d’estate. A dire il vero non pensavamo, anche noi, di riuscire ad avere il trasferimento ed avevamo progettato oltre alle vacanze in famiglia una breve sortita in Sicilia anche per ritrovare alcune amiche che avevamo conosciuto nei primi anni di permanenza in Veneto e, poi, in agosto saremmo andati in Slovenia e Croazia.

Pensammo di lasciare la micetta a Silvia, con la possibilità di riprendercela a fine agosto. Ma, mentre eravamo a Taormina a Mary giunse un telegramma inatteso anche se sperato: aveva ottenuto il trasferimento a Prato. Dovemmo cambiare programma e rinunciare al viaggio nei Balcani, che avevamo minuziosamente preparato. Andammo a Prato (la storia è narrata in “Giuseppe e Maria” che potete trovare su questo Blog in 10 blocchi) e poi ritornammo a Feltre. Io peraltro non avevo ottenuto il trasferimento e quindi avrei dovuto rimanere perlomeno qualche settimana dall’inizio delle lezioni a Feltre (il Sindacato mi dava molte speranze in merito ad un accoglimento di una domanda di assegnazione provvisoria per avvicinamento al coniuge). Uno dei primi impegni fu riservato proprio alla visita alla fattoria di Silvia. Ricordo sempre con grande emozione quel che accadde: Eravamo appena scesi dall’auto e insieme a Mary ci stavamo avviando verso l’abitazione della famiglia della ragazza, quando vidi spuntare da un cespuglio una bestia che galoppava di gran carriera verso di noi. La riconobbi subito e lei fu rapida ad aggrapparsi in un abbraccio commovente al mio collo. Non ci aveva dimenticati. Silvia ci raccontò della bravura della nostra micia nel tenere lontani i topi e della simpatia che aveva da subito mostrato nel rapporto con gli umani e con altri animali come il cane pastore che era purtroppo abbastanza vecchio e malconcio e tendeva più a rimanere in casa al riparo. Sentimmo che c’era affetto da parte di Silvia e di tutta la sua famiglia verso la nostra gattina. Ci allontanammo con molta discrezione e di lei abbiamo seguito poi quella parte della vita che l’ha vista diventare madre più volte e sempre felice.

Fine

…a breve l’intero blocco…..

16 giugno – L’OCCHIO DELLO STRANIERO 3

L’OCCHIO DELLO STRANIERO 3

al minuto 30

Negli ultimi mesi qui a Prato, in questa “isola felice”,  si sono verificati degli eventi che hanno contribuito a mettere in evidenza alcuni aspetti del mondo del lavoro già ben noti all’opinione pubblica, sia quest’ultima fondata sulle maldicenze generiche che poggiata su dati di fatto.

Le “isole felici” vagheggiate da me nel precedente post possono esistere davvero ma non fanno rumore. Se un’azienda garantisce ai propri dipendenti, in tutte le fasi, un trattamento dignitoso o generoso, dove sarebbe la notizia da diffondere? Ed è per questi motivi che se un gruppo di operai di una fabbrica mette in piedi una serie di proteste, denunciando trattamenti indecorosi da parte degli imprenditori, l’attenzione dei “media” rincorre quelle notizie ed emerge l’idea, falsa o vera essa sia, di un intero Distretto “illegale”. Se quelle illegalità denunciate sono reali vanno verificate e sanzionate e compito di chi, pur a vari livelli, ha la responsabilità di un controllo sul territorio, sarebbe in primo luogo l’ascolto delle diverse parti e delle loro ragioni.  Su questo tema mi sono espresso già in altri post e penso sia importante ribadire che, quando c’è anche un solo elemento che viene posto sotto la lente del controllo, vada verificato l’intero settore, riunendo semmai le rappresentanze delle diverse categorie (Industria, Artigianato, Cooperative) per poter comprendere i meccanismi che spingono a volte (!), anche se fossero rare, ad andare oltre le regole.

Da “estraneo” mi sono soffermato però a notare che la difesa dello “status quo” considerato in modo secco perfettamente legale abbia anche per questi ultimi rilievi avuto aspetti davvero scomposti nella loro acriticità, apparendo “interessati” in modo davvero personale, sciovinistico e provinciale. Si sono sentiti colpiti nella loro “pratesità”! per questi  difensori a spada tratta ne va del proprio “onore”. Ecco perché, forse, uno sguardo “straniero” potrebbe avere un ruolo importante da giocare. Badate bene, non mi candido a nessun ruolo di primo piano; voglio solo ribadire che la verità non può essere “unica” ed è importante l’ascolto! E’ proprio su questo tema che vorrei soffermarmi: il Sindaco di Prato ha ribadito in più occasioni ed in modo energico, e sprezzante, che non intende ascoltare le ragioni di un gruppo di operai della Texprint, colpevoli – secondo lui – di essersi comportati in modo scorretto nel corso delle proteste. Vivaddio, se il Sindaco pensa di non confrontarsi con “quanti” si siano in diverse occasioni comportati in modo scorretto forse potrebbe rinchiudersi nelle sue “stanze” e rimanerci per il resto del suo incarico! E come si fa ad ergersi da giudice sulle azioni di gente disperata che lotta per la sopravvivenza? E se fosse basata su dati reali la loro protesta, in relazione a paghe orarie da fame ed orari di lavoro ben superiori a quelli considerati legali, perché non ascoltare le loro richieste?! E quante altre persone che “non si comportano in modo corretto” invece vengono ascoltate e…sostenute?!?

15 giugno – I CONTI NON TORNA(VA)NO parte 24 (per la 23 vedi 23 maggio)

I CONTI NON TORNA(VA)NO parte 24

     Proseguo con la pubblicazione di alcuni documenti relativi ai temi del “dimensionamento” degli Istituti scolastici superiori della città di Prato – in questo post c’è un Documento accluso ad un “Comunicato Stampa” inviato il 17 dicembre del 1998 quattro giorni prima della prevista seduta del Consiglio nella quale si sarebbe dovuto discutere su questo argomento              

Nell’andare ad un dimensionamento ottimale degli istituti scolastici della Provincia di Prato, per quel che riguarda le scuole medie superiori, occorreva risolvere prioritariamente il problema del Liceo “Copernico”, la cui attuale sede di Via Costantini costa alla Provincia per il suo canone di affitto un miliardo e duecento milioni l’anno.

E quel problema rimane comunque politicamente, finanziariamente ed umanamente al primo punto nell’ agenda di noi tutti.

Al Liceo “Copernico” è stata offerta la possibilità di trasferirsi in quel di Via Reggiana, occupando l’attuale sede dell’ITG “Gramsci” e la nuova struttura del Terzo Lotto.-

Il rifiuto da parte del “Copernico” di attuare tale ipotesi si basa su un duplice aspetto: innanzitutto si esprime un concetto aristocratico dell’istruzione secondo il quale i Licei dovrebbero essere nel Centro Storico e gli Istituti Tecnici in periferia, a costituire il cosiddetto “Polo Tecnico”; in secondo luogo la impossibilità di accettare la divisione in due sedi che distano meno di 300 metri l’una dall’altra.

A questo punto, si badi bene, e solo a questo punto, viene approntata una soluzione alternativa, che è poi più o meno l’attuale, che prevede lo spostamento dell’ITG “Gramsci” nel Terzo Lotto, dove a fronte di una necessità di 18 aule normali (per classi) e 15 speciali,  troverà 26 aule normali, 4 leggermente più piccole e 8 grandissimi spazi per Laboratori.       L’ITC “Dagomari” dovrebbe spostarsi da Viale Borgovalsugana 63 per collocarsi nei locali dell’ITG “Gramsci”, dove, a fronte di un bisogno di 35 aule normali (per classi) e di 25 aule Speciali (per Laboratori di vario tipo) si avrebbero a disposizione soltanto 31 aule normali e 15 aule speciali, ivi compresa la ristrutturazione delle attuali 4 aule disegno. Mancherebbero in ogni caso all’appello un’Aula Magna e lo spazio per la Biblioteca.  Si fa presente che, mentre il “Gramsci” ha avuto nell’ultimo anno 452 iscritti, il “Dagomari” ne ha avuti 887 (quasi il doppio): gli spazi vitali (uffici, aule docenti, magazzini) , devono essere pensati anche in quest’ottica.

 Risulta evidente che quella sede è inadeguata per ospitare l’ITC “Dagomari”.

Al posto dell’ITC “Dagomari” dovrebbe essere collocato il “Copernico”.

L’altra questione che si va evidenziando è l’accorpamento “Classico Cicognini – Magistrale Rodari”. La polemica garbata ma decisa del Preside Nannicini avrebbe bisogno di maggiore solidarietà: il rischio di perdere i suoi prestigiosi connotati sono molto forti per il Classico di Via Baldanzi.  Forse anche in quella direzione occorrerebbe maggiore coraggio e più forza nei confronti di chi attualmente dirige la sede di Piazza del Collegio, che si va caratterizzando per una certa insensibilità verso i problemi della città.

Comunicato stampa

Nella partita del dimensionamento, resa complessa da tutta una serie di problematiche chiare ed altre poco chiare assume grande rilevanza la struttura del Convitto “Cicognini” di Piazza del Collegio.  Alcuni problemi infatti potrebbero essere risolti se il Liceo Classico di Via Baldanzi fosse ospitato nella sede storicamente prestigiosa dalla quale peraltro proviene.

A parer mio questo dovrebbe risolvere la questione, più volte richiamata all’attenzione della città in questi ultimi giorni, del mantenimento dell’identità da parte del Liceo Classico, anche se avvenisse l’accorpamento amministrativo con il futuro Liceo Pedagogico (l’attuale “Rodari”).

Faccio un appello alla città, ai massimi dirigenti scolastici, alle forze politiche, ai parlamentari, ed in particolare a chi attualmente dirige il Convitto Nazionale “Cicognini” perché ascolti con attenzione i bisogni di questa città, chiamata a risolvere in pochi giorni, in pochi mesi, problemi che da anni erano urgenti e che ora sono divenuti urgentissimi.

E’  vero,  gli attuali amministratori e dirigenti non ne hanno colpa.

Grande tuttavia potrebbe essere la loro responsabilità, andando ad operare delle scelte che in questa situazione comporterebbero comunque da qui a qualche anno (già nella prossima legislatura) una nuova serie di problemi; problemi non tanto diversi da quelli che oggi rendono difficoltoso il cammino agli attuali amministratori e dirigenti, e danno alla città angustie e preoccupazioni.

Prato, 17\12\1998                                   Giuseppe Maddaluno

                                                        Consigliere Comunale Gruppo Dem. Sin.

14 giugno – L’OCCHIO DELLO STRANIERO – 2

L’OCCHIO DELLO STRANIERO – 2

Non che sia stato silente in questi mesi. Ho espresso il mio pensiero, forse “limitato” dalla difficoltà di un  riscontro, anche sapendo di essere “parte” di una “parte”. Anche in periodi “normali”  gestendo la mia anima “politica” ho dissentito da una certa forma di dogmatismo, secondo la quale il “rosso” è sempre e solo “rosso” (e deve essere “così…e così…e così” – ricordate “Filumena Marturano”?) e il “nero” è sempre e solo “nero”.

Ciononostante ho la presunzione, tipicamente dogmatica, di possedere una “parte”, almeno, di verità. Non quella assoluta ed indiscutibile, ma pur sempre “verità” (una “parte”, però!).  C’è stata nel periodo del blocco totale dovuto alla pandemìa una sorta di frenesia, una specie di reazione schizofrenica mai pericolosa, una messa in prova di una forma di resilienza che ci faceva sperare un “cambiamento”, necessariamente “in meglio”, si intende! Anche perché l’amnesia sui “tempi” appena precedenti a quelli che si vivevano non poteva ancora colpire la nostra memoria. E non erano stati giorni, settimane e mesi positivi per la nostra economia e conseguentemente per il mondo del lavoro. E quindi fondatamente si sperava che peggio di come era prima difficilmente poteva essere; “ne usciremo tutti migliori” si favoleggiava, e d’altra parte era comprensibile il desiderio di un corrispettivo consolatorio alle restrizioni.

Il “mondo” produttivo era semi paralizzato; chi possedeva un contratto di lavoro veniva aiutato dalle previdenze strutturali, ovviamente in base a quanto ufficialmente dichiarato. Non dico altro; tanto anche in questo caso tutti sanno che la mia è solo una visione di “parte”, di “parte” di una “parte” e quindi molto minoritaria. E continuando a vivere questa esperienza un po’ alla volta ne stiamo emergendo, ma – a me sembra – non vi è stato un cambiamento in positivo. Anzi! Pur tuttavia, voglio “sognare”!

Da osservatore libero e scevro da sovrastrutture mi sono permesso di argomentare intorno ai temi del lavoro in un’area come quella del Distretto pratese dove, come ben si sa, da sempre e dappertutto il rapporto tra committente e prestatore d’opera (padrone e operaio) è stato improntato su un piano di profonda ed immensa correttezza nel rispetto delle regole in tutto e per tutto. Qui l’operaio, anche quello apparentemente meno garantito(l’apprendista, quello in prova, quelli che svolgono le mansioni più umili, i dipendenti delle cooperative), è profondamente rispettato e dignitosamente remunerato. Laddove c’è un dubbio per una presunta possibile ingiustizia, tutti (al di là dei padroni, i Sindacati e gli Enti locali, in primo luogo i Sindaci, no?) si prodigano per ascoltare  e si impegnano a chiarire il tutto e a farsi in quattro per risolvere le problematiche. E già, anche perché le “macchine” sono state ferme per tanto tempo ed un po’ di ruggine anche loro l’hanno accumulata, e potrebbero non funzionare a dovere. Ma su tali questioni c’è chi ha specifiche funzioni, sorveglia con grande cura e sollecitudine su queste inefficienze e certamente non permetterà che un operaio possa correre il rischio di ferirsi o, peggio, perdere la vita.

Vi chiedo di non considerare la mia riflessione come ironia. Piuttosto è una indignazione ed un atto di accusa contro l’Ipocrisia al Potere (Imprenditoria, Sindacati, Potere locale).

13 giugno – L’OCCHIO DELLO STRANIERO – 1

L’occhio dello straniero – dopo una prima introduzione ecco la seconda

Da “straniero” lo sguardo è certamente reso più libero da quei condizionamenti cui invece chi è nato e vissuto in alcuni ambienti è sottoposto, molto spesso con naturalezza, inconsapevolmente. Amicizie, inimicizie, complicità, interrelazioni, compromessi, sopportazioni appartengono in modo più ampio a chi  ha deciso di non allontanarsi dal proprio ambiente ed ha voluto, e potuto, costruire la sua storia e quella del suo ambito familiare e di lavoro nei luoghi dove i nonni – e a volte altre generazioni – e i genitori hanno potuto e voluto trascorrere la loro vita, installare le proprie attività private. Quindi lo “straniero” si va ad inserire in una realtà consolidata, nella quale tutto scorre in modo naturale ma con una distinzione quasi sempre abbastanza evidente per chi dall’esterno ne osserva il corso, possedendo cultura e capacità interpretativa dei percorsi umani attraverso la conoscenza della Storia, della Letteratura e della Cultura.

Proprio perchè ciò che è stato permane ma la vita continua a fluire con quelle modalità acquisite e si va consolidando nella trasformazione impercettibile, allo “straniero” non è data altra possibilità che l’iniziale acquisizione dell’ hic et nunc, come un fotogramma o una serie di questi ma cristallizzati nell’immanenza provvisoria. Per la descrizione e l’elaborazione di tali scenari, lo straniero viene apprezzato per la sua capacità di saper cogliere alcuni aspetti che, all’interno di percorsi ormai abitudinari, gli “autoctoni” hanno troppe volte perso di vista. Ma assai spesso tali approfondimenti finiscono per far emergere aspetti, a volte lievi ed in apparenza insignificanti che si vorrebbero allontanare, esorcizzare, trascurare perchè tante volte fa male riconoscerli. E’ a questo punto che avviene una divaricazione tra ciò che fa piacere e ciò che dispiace e lo straniero finisce per essere apprezzato ma anche odiato: il primo sentimento è palese, il secondo rimane invece sotto traccia e provoca alla lunga veri e propri disastri. Qualcuno conferma e rafforza in modo sincero la stima riconoscente, qualche altro nasconde sin dai primi confronti un sentimento di odio, preferendo celare a se stesso una parte della verità che gli appartiene nel mentre apprezza con ipocrisia; qualche altro ma pochi con franchezza e disprezzo si allontanano.

Ebbene, è una parte della mia storia, questa dello “straniero”. Per un periodo sono stato meno “estraneo” ai percorsi di questa città, parlo di Prato; oggi, ma ormai da un po’ di anni, sono ritornato ad essere essenzialmente un apolide, uno “straniero” in Patria, perché “italiano” lo sono, ma….

Osservare dall’esterno ha certamente dei vantaggi ma si corre il rischio di essere portatore “inconsapevole” di quella forma di ipocrisia che si vorrebbe combattere. Ma la “funzionalità del pensiero libero” non può farsi limitare da sovrastrutture ideologiche o di appartenenza ed è per questo che avverto sempre più la lontananza da chi si dichiara di appartenere ad una “parte” del pensiero ideologico ma limita la sua libertà condizionandola a quegli schematismi. Ecco il motivo per cui su alcuni aspetti dissento dalle valutazioni generiche della Sinistra dogmatica. Nel prossimo post andrò dritto all’argomento, partendo da quel che si è verificato negli ultimi due mesi qui a Prato.

12 giugno – L’OCCHIO DELLO “STRANIERO” – INTRO

L’OCCHIO DELLO “STRANIERO” – intro

Questi “post” sono a corollario di una ipotesi: è molto importante sentire quel che pensa un “osservatore esterno” e prendere in considerazione il suo giudizio – l’idea che ho è che io sia stato uno “straniero”; poi sono diventato funzionale ad un “sistema”; oggi mi sento ancora una volta uno “straniero” – quel che è scritto in questa “intro” è solo davvero un preambolo

intro

Quando arrivi in un posto da lontano, sia questo Bergamo, Feltre o Prato, per starci in quel momento tu credi per sempre, ti nutri di tutti gli aspetti nuovi o diversi, reali o apparenti non importa; ma il tuo sguardo ancor più se sei giovane ed in attesa del “tuo” futuro è scevro da qualsiasi sovrastruttura che si sia già stabilizzata ed hai una grande libertà di giudizio, essendo libero da condizionamenti resi già stretti da più o meno lunghi rapporti e possedendo alla fine dei conti una certa fiducia nelle tue qualità. Alcuni appunti sulla mia presenza all’inizio e poi sulla mia permanenza, breve, meno breve e poi lunga, nell’ordine sopra segnato (Bergamo, Feltre e Prato), li ho conservati. Sono trascritti a mano e si perdono  tra le migliaia di fogli che conservo in luoghi reconditi ed inaccessibili, non solo della memoria che difetta man mano nel corso del procedere degli anni, ma realmente in casse, faldoni, cassetti, ripostigli, soffitte, garage (a tale proposito non riesco ad accedere per mancanza di spazio nel garage di Pozzuoli ed in una parte del garage di Prato).

In questi anni una parte di questi “fogliacci” li ho salvati e pubblicati su questo Blog. In tutti questi anni di permanenza a Prato era abbastanza normale pensare che tra il 1982 ed il 1985 possa essere stato “straniero” con gli occhi aperti sulla “nuova” realtà. Venivo da Feltre, una piccola città, molto importante per me e per la mia famiglia; ma lì sapevo che la mia “estraneità” sarebbe durata per tutto il tempo, anche se ho lasciato molti segnali tra la pratica sindacale e quella politica, sempre contornata da esperienze culturali. Arrivando a Prato portavo con me nella bisaccia una serie di progetti realizzati e tanti da poter realizzare. Era la cultura cinematografica, quella che mi sospingeva, vissuta insieme ad un piccolo gruppo di amici e compagni; e a Prato c’era già in essere il progetto di riconversione degli spazi politici ed associativi di via Frascati; in via Pomeria c’era la sede dell’ARCI (là dove fino a poco tempo fa c’era l’ex caserma dei carabinieri ed ora c’è un complesso residenziale) ed io cominciai a frequentare quegli spazi. Politicamente ero nel PCI, a Feltre avevo cominciato anche ad imparare a fare le campagne elettorali su per le montagne e la diffusione dell’ Unità nelle frazioni più piccole e remote fatta da “stranieri” funzionava alla grande: c’era passione e con essa emergeva la nostra genuinità. A Prato dove la “forza lavoro” di questo settore – intendo la propaganda politica – era sicuramente più numerosa, pur mantenendo l’adesione al Partito Comunista, per un po’ di tempo, tra il 1982 ed il 1992, ho lavorato esclusivamente nel settore della cultura cinematografica ARCI – UCCA a livello regionale, oltretutto. E per l’appunto, in quella prima fase, avendo assunto ruoli dirigenziali, ho messo a frutto alcune impressioni sulla realtà con la quale ero chiamato a confrontarmi, “straniero” tra – per me – “stranieri”.

GIUGNO 2021 – Reloaded di un mio post dell’8 giugno 2020 L’IMPORTANZA DELLA MEMORIA – VERSO UNA CRISI (AL BUIO PESTO)

Reloaded di un mio post dell’8 giugno 2020                                             L’IMPORTANZA DELLA MEMORIA – VERSO UNA CRISI (AL BUIO PESTO)

Se continuiamo a dire che “da questa tragedia ne usciremo tutti migliorati” che “andrà tutto bene”, dobbiamo tuttavia avere ben presente quelle che erano le nostre condizioni nel periodo appena precedente allo scoppio della pandemia.
Basterebbe andare a consultare una Rassegna stampa del 2019 per capire che il nostro Paese era in piena fase di “decelerazione”, che la previsione del PIL era davvero deprimente (lo 0,3 in più rispetto al precedente anno); basterebbe andare a consultare i dati ISTAT per capire che in Italia la “povertà” era un vero e proprio problema da affrontare. E non lo si poteva fare attraverso gli slogan o i “peana” del Governo Lega-M5S (“Abbiamo sconfitto la povertà” disse Di Maio, alzando indice e medio nel segno della Victory), ma con una serie di interventi coraggiosi e severi nei confronti dell’illegalità diffusa nel settore del mondo del lavoro. In primis infatti occorreva sconfiggere la pratica criminale del “lavoro nero”; poi – anche contemporaneamente – tappare la falla della povertà attraverso sussidi come il “reddito di inclusione” ed il “reddito di cittadinanza”. Tutti coloro che osservavano la realtà attraverso le proprie conoscenze e sensibilità, pur in possesso di garanzie personali e quindi non direttamente interessati, e denunciavano l’incongruità dell’intervento venivano visti come “gufi rosiconi” o “disfattisti antipentastellati” per pregiudizi ideologici, e – allorquando affermavano che quegli interventi “non” avrebbero risolto il dramma della povertà, avrebbero creato più danni se non fossero stati accompagnati da un serio progetto di contrasto all’evasione ed al lavoro nero, un progetto di “giustizia sociale” – venivano attaccati.

Per rendere meglio quello che è il dato di riferimento cui accenno sopra vi inserisco i link di riferimento ai siti dell’Istat

Le prospettive dell’economia italiana nel 2019

https://www.istat.it/it/files/2019/05/Previsioni_mag19_fin1r.pdf

Le prospettive dell’economia italiana nel 2019-2020

https://www.istat.it/it/archivio/236396

per capire meglio i dati sulla “povertà” consultare sempre il sito dell’Istat con tag “povertà”

https://www.istat.it/it/archivio/povert%C3%A0

Ritornando all’assunto dell’avvio del post “Saremo migliori?” “Andrà tutto bene?”, ho la sensazione che si tratti di affermazioni banali puerili utili a rassicurare i più deboli, sia per età che per condizione economica e culturale.
In realtà quel che vediamo, di fronte alla reale incapacità di fronteggiare gli aspetti negativi che si sono aggravati nel corso degli eventi drammatici in cui siamo stati tutti – chi più chi meno – coinvolti, non è per niente rassicurante, ben al di là della ventilata possibilità di un ritorno epidemico nel prossimo autunno-inverno. In questo periodo c’è stata una parte del mondo economico che ha accumulato guadagni ingenti; c’è una parte del mondo economico che, pur avendo sofferto in parte la crisi, ha preparato interventi di carattere politico clientelare (si parla di grand commis dell’economia e della finanza) tesi all’accaparramento di risorse senza fornire tuttavia le opportune garanzie (non mi riferisco soltanto alla pretesa della FCA di poter ricevere a fondo perduto contributi, permanendo nel suo progetto aziendale che privilegia i rapporti economici con paradisi fiscali e non rispetta le regole fiscali del nostro Paese).
In questo stesso tempo non si sono visti interventi “seri” e legalmente “severi” nei confronti del “lavoro nero”; anzi, nel marasma legislativo, che ha intorbidato le acque ancor più rispetto a prima, i furbi hanno avuto più forza e vigore rispetto alla povera gente, disposta ancor più di prima a sopportare angherie retributive. Di tutti questo poco o nulla si dice; soprattutto non si avverte nella compagine di governo – anche di quella parte di “Sinistra” che dovrebbe essere maggiormente sensibile – la giusta attenzione. Sembra quasi che i problemi siano altri. Ma non è così e purtroppo andiamo verso un periodo in cui chi avrà bisogno sentirà difendersi proprio da coloro che hanno obiettivi destabilizzanti, pericolosi per la Democrazia.

….1….